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Le disparità di genere sono un problema contro il quale si cerca di combattere da secoli.
Le donne sono state in passato (e purtroppo in alcune situazioni anche oggi) considerate “inferiori” all’uomo e per questo meno degne e/o meritevoli di prendere decisioni o di occupare posizioni di rilievo nella società. Un grosso passo avanti in Italia sotto questo aspetto è stata sicuramente la legge per l’estensione del diritto di voto alle donne emanata il 1 Febbraio del 1945.
La lotta per il suffragio femminile affonda le sue radici in un passato che precede l’Unità d’Italia. Il voto, ai tempi, era diviso in amministrativo e politico e solo in alcuni granducati le donne potevano votare (se accompagnate da un tutore). Il voto per le donne era concesso tuttavia unicamente per la parte amministrativa.
A seguito del 1861, una volta concretizzata l’Unità d’Italia, le donne vennero definitivamente escluse da qualsiasi tipo di voto.
I tentativi di reintegrare le donne nel suffragio furono numerosi anche da parte del Presidente del Consiglio Depretis, ma le Camere rifiutarono sempre i disegni di legge riguardanti questo argomento fino ai primi del ‘900, quando alle donne fu concesso di votare ed essere votate nei consigli di amministrazione.
A seguito della Prima Guerra Mondiale, periodo in cui le donne sostituirono in gran parte delle attività lavorative gli uomini, la considerazione del ruolo femminile inizia a cambiare.
Anche grazie al grosso impatto del movimento delle suffragette (nato in Inghilterra), si arriva nel 1925 a ottenere la totalità della possibilità di voto amministrativo.
La donna, come abbiamo detto, è sempre stata vista in passato come “madre ed educatrice”; tuttavia questo non giustificava il divieto che la società imponeva alla popolazione femminile legato alla possibilità di esprimersi in materia politica. Già dal 1864, infatti, donne come Anna Maria Mozzoni si espressero a riguardo di questa disparità, spronando le donne a richiedere a gran voce la possibilità di eleggere e di essere elette.
A inizio ‘900 la situazione era ai limiti dell’assurdità: il voto politico era concesso agli uomini analfabeti ma non alle donne acculturate.
Anche Papa Pio X in epoca pre-fascista si dichiarava contrario al suffragio femminile, tuttavia contemporaneamente si formavano sempre più gruppi di donne che si battevano per i propri diritti e che chiedevano a gran voce con petizioni e manifestazioni di ottenere ciò che gli spettava.
Il programma politico di Mussolini prevedeva di estendere il diritto di voto alle donne ma con la riforma podestarile del 1926 e la riforma elettorale del 1928, rimangono solo parole.
Bisognerà così attendere la fine della guerra e altri anni di proteste da parte dei Gruppi di Difesa per le Donne per arrivare alla proposta di Alcide de Gasperi e di Palmiro Togliatti che si tramuta nel 1945 nel decreto legislativo luogotenenziale n.23 del 1 Febbraio 1945 “Estensione alle donne del diritto di voto”, noto come decreto Bonomi.
Il decreto non faceva riferimento al voto passivo (quindi alla possibilità di essere elette oltre che eleggere) ma questa clausola fu aggiunta solo un anno più tardi.
Le donne da quel momento poterono finalmente prendere parte alle decisioni politiche della propria nazione e inaugurarono questo nuovo riconosciuto diritto con l’importantissimo voto per il referendum istituzionale per la scelta tra Monarchia e Repubblica il 2 Giugno del 1946.
Sono passati oggi 76 anni da quando è stato finalmente riconosciuto il diritto di partecipare alla vita politica per le donne, ma la strada per arrivare a una parità di potere tra i sessi è ancora molto lunga. Le donne che rivestono oggi posizioni di rilievo in campo politico sono state sempre un numero nettamente inferiore rispetto a quello degli uomini.
Anche in ambiti aziendali, le donne amministratrici delegate rappresentano una piccolissima percentuale quando paragonata a quella maschile.
Le poche che riescono in questa titanica impresa, inoltre, vengono spesso criticate per essere troppo dedite al lavoro e quindi idealmente lontane dalla figura di “madre ed educatrice” di cui la donna dovrebbe essere simbolo.
Con l’avanzare degli anni, quindi, le conquiste per l’universo femminile sono state (sulla carta) svariate ma si spera ancora, tuttavia, che si arrivi ad ottenere una parità di potere e soprattutto di considerazione non tanto scritta quanto effettiva tra uomini e donne.
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