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Il missionario fra’ Silvestro Arosio è improvvisamente deceduto all’età di 65 anni mentre si trovava a Gibuti, in Africa, dopo aiutava i ragazzi di strada.
Africa, fra’ Silvestro Arosio morto a 65 anni: era missionario a Gibuti
Nella mattinata di mercoledì 15 dicembre, fra’ Silvestro Arosio, che svolgeva la sua attività di missionario a Gibuti, in Africa, è morto all’età di 65 anni. La prematura scomparsa del religioso, originario di Biassono, ha fatto profondare nel lutto la comunità dei francescani di Monza.
Secondo quanto riferito sul sito Missioni Francescane, fra’ Silvestro Arosio aveva prestato servizio come missionario per oltre 12 anni in Africa orientale. La sua attività di missionario si era inizialmente concentrata prima in Uganda e, successivamente, in Tanzania. In questi contesti, il religioso viveva in contesti semplici come i villaggi e tentava di aiutare gli abitanti, prestando attenzione soprattutto ai malati.
Africa, fra’ Silvestro Arosio morto a 65 anni: la vocazione da missionario
Nel 2004, fra’ Silvestro Arosio aveva fatto ritorno in Italia ma, dopo aver trascorso 15 anni lontano dall’Africa, il suo spirito missionario aveva preso il sopravvento. In questo contesto, mentre molti dei suoi coetanei chiedevano la pensione, fra’ Silvestro ha deciso di chiedere ai suoi superiori di partire nuovamente.
La nuova destinazione del religioso è stata Gibuti, nota per la sua situazione complessa sia per la posizione geografica che la colloca strategicamente all’ingresso del mar Rosso sia per la sua situazione climatica. A Gibuti, nonostante tutte le complessità del caso, fra’ Silvestro Arosio ha svolto il suo servizio presso la Caritas insieme ai ragazzi di strada.
Africa, fra’ Silvestro Arosio morto a 65 anni: la lettera scritta per Gibuti
Nel corso del tempo vissuto a Gibuti, fra’ Silvestro aveva inviato una lettera in Italia ad aprile, chiedendo di ricevere un sostegno economico.
A questo proposito, il religioso aveva rivelato: “Lavoro per la Caritas di Gibuti, il nostro impegno è con i ragazzi di strada e non solo. Abbiamo circa 150 ragazzi che variano ogni giorno. Da noi si lavano, mangiano, giocano a calcio e fanno lezione, tutto per tenerli lontani il più possibile dalla strada. Vivere per strada significa non avere un posto per dormire, lavarsi, mangiare. Molti fanno chilometri a piedi, arrivano dall’Ethiopia e dalla Somalia e qualcuno ci lascia la vita. I problemi sono tanti e tra essi c’è anche la colla che viene usata come droga. In Caritas abbiamo anche un sevizio di infermeria”.