Gli insulti non mi bastano mai, ormai è cosa nota, come non tornare quindi sull'argomento Roberto Benigni? Della sua Commedia recitata in tv ho già parlato, e non faccio nemmeno un passetto indietro.
Ho ben compreso le argomentazioni dei lettori, tanto quanto ho apprezzato la tipologia di dibattito che si è sviluppata in questo post. Chiuso il capitolo Commedia, sul quale prevedibilmente tornerò, è il caso di parlare della prima serata di ieri, dedicata al film La tigre e la neve.
Anzi, torniamo ai tempi dell'Oscar (magari tralasciando quel Robbertou di Sofia Loren che per nostra sfiga è passato alla storia), quando Benigni ha partorito un film di pura tensione emotiva.
Non era certo semplice trattare una tematica come quella in chiave ironica, Benigni c'è riuscito.
Io non mi commuovo guardando i film, ma l'"Abbiamo vinto" finale è riuscito a strapparmi una lacrimuccia liberatoria. Poetico, quello sì che era un film poetico: quella sì che era poesia sulle labbra di Benigni. E amore: amore paterno che quella volta è riuscito a raggiungere il sublime.
E poi è arrivata La tigre e la neve.
Non sono mancate le critiche, si è parlato di un film riuscito a metà, eppure, la prima volta che lo vidi, mi resi conto che La tigre e la neve andava a completare l'idea d'amore di Benigni.
Se La vita è bella ha segnato la storia del cinema facendo riferimento all'amore paterno, La tigre e la neve ha chiuso il cerchio completando il concetto con l'amore tra adulti.
Nel 2005, quando uscì il film, ci si concentrò troppo sull'ambientazione: Baghdad, la guerra in Iraq, ma anche le polemiche sull'impossibilità di un secondo Oscar per i temi trattati. In realtà il tema sociale – e bellico – faceva solo da sfondo.
La denuncia era lieve, volutamente.
Si può discutere su questi due film all'infinito, addentrandosi anche negli aspetti più tecnici, ma se per la recitazione della Commedia tanti lettori hanno puntato l'attenzione sull'aspetto sentimentale, piuttosto che su quello puramente tecnico-letterario (cosa che non mi trova d'accordo), allora anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un film da "vedere con gli occhi del cuore" (tanto per dirlo alla Benigni).
E' qui, nella sua professione, che Robbertou riesce a dare il meglio.