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Il suo nome si legge sui libri di scuola insieme a quelli del poeta Eugenio Montale o dell’esistenzialista Alberto Moravia. La verità è che di Carlo Emilio Gadda si studia ben poco al liceo, perdendosi le riflessioni di uomo che ha saputo come usare la lingua italiana per descrivere, con un linguaggio preciso e anche difficile, le condizioni della vita.
Chi era Carlo Emilio Gadda
Carlo Emilio Gadda (Milano, 14 novembre 1893 – Roma, 21 maggio 1973) è stato uno scrittore, poeta e ingegnere italiano. Cresce con i fratelli, il padre Francesco, industriale tessile, e madre Adele, insegnante di lettere e direttrice scolastica.
Frequenta il liceo classico e si iscrive insieme al fratello al corso di laurea di Ingegneria Elettrotecnica, lasciando da parte la propria natura di autore.
La partecipazione alla prima guerra mondiale
Nel 1915 all’entrata dell’Italia in guerra decide di partire volontario con le truppe alpine sull’Adamello. Qui viene fatto prigioniero in seguito alla sconfitta di Caporetto e viene deportato a Celle con altri compagni. Racconta dell’esperienza vissuta in un capitolo de “Il castello di Udine” e in un diario andato in parte perduto.
Di quel che è rimasto si legge la forte denuncia verso l’incompetenza con cui è stata gestita la guerra. La sua opera riporta dei temi fondamentali come il disordine del reale, l’affetto verso il fratello, il disprezzo verso le gerarchie e l’orrore della guerra. Una volta tornato a Milano il dolore si fa più vivo alla notizia della morte del fratello in un incidente di guerra.
L’avvio all’attività letteraria
Si iscrive alla facoltà di filosofia nel 1924 e capisce di voler riprendere in mano le materie umanistiche e soprattutto la letteratura. Due anni dopo inizia anche una collaborazione con la rivista Solaria, esordendo con un saggio intitolato “Apologia manzoniana”.
In questi stessi anni inizia anche a stendere le bozze del primo romanzo “Racconto italiano di ignoto del Novecento” in cui ci sono molte informazioni su come dovrebbe essere un romanzo attuale rispetto a quelli classici.
Tra il 1928 e il 1929 stende anche un trattato filosofico dal nome “Meditazione milanese” in cui esprime le sue riflessioni su Leibniz, Kant e Spinoza. Due anni dopo inizia a collaborare con il quotidiano “L’Ambrosiano” facendo uscire una serie di racconti in prosa dal nome “La Madonna dei filosofi”.
Nel 1936 muore la madre e metabolizza le sue emozioni conflittuali scrivendo “La congnizione del dolore” che pubblica diversi anni dopo.
Gli anni del successo, tra il lavoro in Rai e la scrittura
Con il successo della televisione, nel 1950 si trasferisce a Roma e inizia a lavorare per programmi di cultura per la Rai.
In questi stessi anni matura anche le sue opere più importanti tra cui “Novelle del ducato in fiamme” con cui vince il premio Viareggio. Oltre a questa un’altra sua grande opera si basa sugli anni del fascismo, ovvero “Eros e Priapo: da furore a cenere” del 1967 in cui racconta nuovamente le sue riflessioni sul regime.