Che tempo che fa Slavoj Zizek: la filosofia (pop) in televisione

Su Rai 3 la coincidenza non comune di due momenti semanticamente simili, ma di solito radicalmente opposti: l’accensione della televisione e quella del cervello.

Non succede tutti i giorni che in televisione si veda un filosofo “vero”, neanche se si sta parlando del salotto buono della cultura catodica di sinistra rappresentato da Che tempo che fa di Fabio Fazio.

Allo stesso modo è piuttosto inconsueto che un filosofo “vero” si metta a parlare di escrementi e toilet non appena gli venga data la parola, subito dopo la presentazione.

Già, la presentazione, proverbialmente d’obbligo. Quando si cita il pensatore sloveno Slavoj Zizek in effetti le virgolette sono d’obbligo: il più conosciuto tra i “professionisti della sapienza” non è divenuto tale senza inanellare una serie di controversie e di polemiche, puntualmente scaturite proprio dalla sua vocazione pop che lo distingue nettamente dal rigore e dalla compostezza che siamo soliti attribuire a figure del genere (Noam Chomsky, per fare un esempio, forse l’unico in grado di rivaleggiare con Zizek in quanto a popolarità e significativamente suo nemico dialettico).

Slavoj, che si è formato alla corte dello psiconalista Jacques Lacan, è stimato esegeta di Hegel e si professa convinto marxista e comunista, è davvero tutto il contrario del classico vecchietto mansueto, da decenni cattedratico universitario. Il Nostro nelle sue innumerevoli interviste-conferenze (YouTube è stipato di filmati del genere) è un turbinio cinetico, non riesce a stare fermo con le mani, che sembrano quasi sfuggire al suo controllo, in un gesticolio che fa impallidire le movenze stereotipiche degli italiani. Caratteristico il suo tirar su col naso, seguito da una bella strusciata digitale, nonché la pronuncia inglese imperfetta, sibilante e parzialmente maccheronica. Se a tutto ciò uniamo il gusto per il racconto delle barzellette sporche, la divagazione costante, l’uso d riferimenti all’attualità, al cinema, all’arte ne esce fuori il ritratto di un personaggio davvero fuori dal comune.

Da Fazio lo abbiamo visto esordire con un bel riferimento scatologico per spiegare l’importanza della questione dell’ideologia nel suo sistema di pensiero. Un sistema molto difficile da ricostruire senza leggere un libro per intero, proprio per i motivi sopra esposti: Zizek dal vivo – e spesso anche in versione testuale – è una macchinetta e spesso lascia aperti molti dei discorsi intrapresi e si dimentica di trarre le dovute conclusioni.

Molto interessante, per quanto non inedito, il suo ritratto del comunismo come momento filosofico-storico-sociale importante non per la sua supposta riuscita, ma proprio per la ragione contraria: in quanto fallimento totale nella sua attuazione fattuale il comunismo presupponeva al suo interno un coacervo di posizioni opposte e contrarie, volte a indirizzare e necessariamente mettere in crisi il sistema da loro sorretto. È questa stratificazione che rende possibile la differenziazione dai fascismi storici, tutti riusciti perfettamente nelle loro intenzioni: al fondo del pensiero di Zizek c’è infatti l’esaltazione del momento del fallimento come momento indispensabile dell’individuazione dei problemi collettivi da risolvere.

In questo senso si spiega anche la definizione della dissidenza come l’atto della fedeltà assoluta ai valori propugnati dalle macchine politico-ideologiche: solo aderendo ingenuamente e in modo completo a questi se ne possono individuare le falle, mentre coloro che si compiacciono di un cinismo utilitaristico finiranno per essere assorbiti dalla macchina – sfruttatori e al tempo stesso sfruttati inconsapevoli.

C’è infine un certa nostalgia per un’epoca, comunque nerissima, in cui i maestri, i padroni, i governanti, si facevano definire come tali e i loro ordini erano perentori, duri, ma immediatamente riconoscibili. Oggi non solo le figure di potere si nascondono dietro ruoli eufemistici, ma anche la stessa realtà – quando espressione di una logica di mercato capitalistica – propone come obiettivo finale la ricerca di una felicità anestetizzata in cui la componente del rischio e del pericolo sono state eliminate (a scopo preventivo), dietro cui si nasconde l’egemonia del consumo sull’esperienza: sesso sì, ma sicuro; trasgressione sì, ma quando è di moda; birra sì, ma analcolica; l’amore sì, certo, ma senza l’ossessione e lo struggimento.

Zizek alla fine del suo intervento ci lascia la curiosità e il desiderio di approfondire maggiormente lo studio delle sovrastrutture ideologiche su cui è edificata la civiltà. Non per forza di cose attraverso le sue parole (in fondo difficilmente i suoi libri cambieranno la storia del pensiero), ma almeno un saluto a lui molto caro rimane per noi condivisibile, “Che tu possa vivere in tempi interessanti”, un’antica maledizione cinese che si nasconde dietro l’augurio di un miglioramento (illusorio) delle condizioni di vita del destinatario. 

Scritto da Style24.it Unit

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