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La chiamavano l’inarrestabile “Marisa la partigiana”, ma Marisa era solo il suo nome di battaglia.
Neurologa specializzata in neuropsichiatria, Claudia Ruggerini aveva preso parte alla lotta di Liberazione e, insieme a Elio Vittorini, Alfonso Gatto e altri aveva liberato la sede del Corriere della Sera. La sua è una storia affascinante e avventurosa come quella di molte donne che in quegli stessi anni hanno preso parte alla lotta per la Liberazione, nonostante i loro nomi siano spesso taciuti e dimenticati.
Claudia Ruggerini aveva mostrato il suo spirito combattivo fin da bambina, quando doveva imparare a scrivere. Il padre, un ferroviere socialista, fu licenziato per motivi politici e poi massacrato di botte da una ronda fascista, lasciandola orfana all’età di 12 anni. In quegli anni di scuola, Claudia aveva già maturato dentro di sé un forte e radicato desiderio di giustizia. Lei stessa ha raccontato che la sua ribellione era iniziata tra i banchi di scuola quando le maestre cercarono di correggere il suo essere mancina, costringendola a diventare destrorsa: “la società ci provò, ma riuscì solo a cambiare il mio grafismo.”
Alle superiori fu indirizzata verso gli studi umanistici e ottenne la maturità classica.
Claudia Ruggerini aveva inizialmente iniziato a frequentare l’università di Chimica industriale, per poi iscriversi alla facoltà di Medicina. Un passaggio molto più vicino ai suoi interessi e alle sue inclinazioni, che si sarebbe rivelato decisivo per la sua carriera. Claudia, infatti, fu nell’Italia liberata una degli studiosi più importanti nel campo della neuropsichiatria infantile.
All’università, Claudia ebbe l’opportunità di partecipare al Comitato iniziative intellettuali, il cui obiettivo era preparare una ripresa culturale dell’Italia, una volta posto fine al nazifascismo.
Proprio tra le aule universitarie conobbe un gruppo di studenti antifascisti e nel luglio del 1943 l’incontro con l’avvocato Antonio D’Ambrosio, dirigente della Federazione clandestina del Partito Comunista napoletano, la convinse ad entrare nella Resistenza.
Claudia, con il nome partigiano di Marisa, aveva preso parte alla Resistenza in val d’Ossola, e poi era entrata nella 107ª Brigata Garibaldi. In qualità di staffetta, come molte donne partigiane, s’impegnò con ogni mezzo e andando incontro a innumerevoli rischi per distribuire stampe clandestine ai partigiani e recapitare in bicicletta messaggi ai resistenti della zona piacentina.
Riuscì persino ad entrare nel carcere di S. Vittore per carpire preziose informazioni per gli antifascisti.
Il ruolo delle donne durante la Resistenza è una storia spesso taciuta e per questo dimenticata. Ma il loro contributo fu fondamentale. Furono le donne, per esempio a occuparsi della propaganda: dell’attacchinaggio dei manifesti, della distribuzione di volantini, dell’approntamento di documenti falsi. Organizzarono il trasporto di munizioni, armi, esplosivi, procurarono gli indumenti. Si incaricarono del delicato passaggio delle informazioni divenendo un essenziale collegamento tra le brigate.
L’evento che più si ricorda della vita di Claudia, durante gli anni della Resistenza, è ciò che avvenne Il 25 aprile 1954. Claudia-Marisa, con un piccolo gruppo di partigiani, tra cui Elio Vittorini, Alfonso Gatto e altri, entrò negli uffici del Corriere della Sera, il quotidiano nazionale e, dopo vent’anni di controllo nazifascista, lo liberò ufficialmente dalla censura.
«Perché la libertà va coltivata con coscienza, conoscenza, rispetto degli altri e della loro, di libertà.
Non è licenza, né liceità. La Resistenza, la liberazione del Corriere, è stata nient’altro che questo: una questione di libertà»