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Imparare a conoscere e rispettare le diverse realtà che riguardano il diritto di potersi esprimere e identificare come meglio si crede, è necessario per vivere in una società davvero inclusiva.
Tra queste realtà lgbtq+ esiste quella del genere non binario. Ma cosa significa? Per capirlo è necessario partire dal principio.
In sociologia si parla di genere per riferirsi all’appartenenza all’uno o all’altro sesso, maschile o femminile, in base ai comportamenti sociali e culturali e non in base alle differenze di natura biologica.
Quando una persona dichiara di avere un’identità non binaria significa che non si riconosce in una costruzione binaria del genere, ovvero nell’idea che esistano solo il genere maschile e femminile.
Chi si riconosce nel genere non binario quindi, non si considera come un’unica identità, ma come una pluralità di identità di genere.
Ma quindi le persone non binarie sono transessuali? Non necessariamente. Non è detto che una persona con identità non binaria possa riconoscersi come parte della comunità transgender. La transizione può anche non essere medica, con l’effettivo cambio di sesso tramite un’operazione chirurgica, bensì sociale, tramite quindi la volontà di farsi chiamare come più si desidera, a prescindere da cosa indichi il proprio corpo.
Per transizione sociale s’intende allora la necessità di fare coming-out per essere riconosciuta come persona non binaria all’interno della società, attraverso l’utilizzo di un nome e di un genere grammaticale diverso da quello imposto dal sesso biologico.
Il genere non binario viene spesso accostato alle definizioni di gender fluid e queer, ma anche in questo caso è importante sottolineare quali sono le similitudini e quali sono le differenze.
Le persone gender fluid oltre a non riconoscersi solo in una delle due categorie di genere, sentono il bisogno di poter modificare la propria identità nel tempo, in base a ciò a cui si sentono più vicino in quel determinato momento della propria vita. Le persone queer invece, hanno un’identità non binaria e si definiscono anche transgender.
Lo sdoganamento del genere non binario, porta a sua volta alla necessità di utilizzare pronomi diversi per identificarsi.
In inglese, per esempio, si sta diffondendo l’uso del pronome They/Them, che un tempo veniva usato al singolare come forma neutra, per riferirsi a un qualcosa di genere sconosciuto.
Anche in Italia si sta cercando di introdurre alcune modifiche nel linguaggio, per renderlo più inclusivo. Al momento, soprattutto per quanto riguarda la lingua scritta si utilizzano formule che non indicano una categorizzazione binaria, come l’asterisco o lo schwa /ə/.
Per quanto riguarda la lingua parlata invece la questione si fa più complicata. In attesa della soluzione più adatta comunque, si utilizzano termini che generalmente indicano una pluralità.
Per spianare la strada verso l’inclusività occorre sfatare alcuni miti ancora troppo radicati nel pensiero comune. Due di questi riguardano la disforia di genere e l’orientamento sessuale.
Si parla di disforia di genere quando si percepisce la propria essenza di un genere diverso rispetto a quello di nascita.
La soluzione non si traduce semplicemente nella transizione da un sesso a un altro, perché esistono anche altre possibilità, come appunto il genere non binario. Nonostante i pregiudizi, la disforia di genere non deve essere necessariamente trattata come disturbo, ma come un percorso per la presa di coscienza di ciò che si è. Anche l’orientamento sessuale è un discorso ben diverso, perché il non binarismo riguarda l’individualità e non le preferenze su altro da sé.
Una persona non binaria può innamorarsi tanto di un uomo quanto di una donna, o può avere preferenze specifiche.