Dal momento del ritorno al potere dei talebani è cresciuta sempre di più la preoccupazione per i diritti umani, in grave pericolo sotto il regime.
La maggiore apprensione è sempre per le donne in Afghanistan, a cui è stato vietato di praticare sport. L’ennesima proibizione, che non lascia ben sperare per il futuro di bambine, ragazze e donne afghane.
Mentre in Italia, Europa e in gran parte del mondo si festeggia ancora per un’estate ricca di risultati sportivi, l’Afghanistan si muove in direzione contraria. Le donne, già costrette ad indossare il burqa, a non uscire da sole – o non uscire affatto, devono rinunciare anche allo sport.
Tutta la fatica per permettere a molte ragazze di frequentare le palestre e avvicinarsi al mondo sportivo è stata vanificata con una veloce dichiarazione. Ahmadullah Wasiq, il vice della Commissione culturale talebana, lo ha annunciato all’emittente australiana Sbs News.
Non credo che alle donne sarà consentito di giocare a cricket perché non è necessario che le donne giochino a cricket. Nel gioco potrebbero dover affrontare situazioni in cui il loro viso o il loro corpo non siano coperti. L’Islam non permette che le donne siano viste così. Inoltre, questa è l’era dei media, e ci saranno foto e video, e la gente li guarderà. L’Islam e l’Emirato islamico non consentono alle donne di giocare a cricket o qualunque altro tipo di sport che le esponga.
Una dichiarazione che inevitabilmente lascia poco spazio di manovra, e mette a rischio l’atteso match di cricket previsto in Australia a novembre tra le due nazionali maschili. Per poter giocare, infatti, l’International Cricket Council richiede a tutti i suoi 12 membri di avere anche una squadra nazionale femminile.
Molte donne però non ci stanno, come Khalida Popal, ex capitano della nazionale femminile di calcio dell’Afghanistan, rifugiata in Danimarca. Per lei, promotrice di una campagna per far uscire da Kabul le sue ex compagne, lo sport è libertà, e le donne non smetteranno mai di lottare, anzi, combatteranno affinché venga rispettato il diritto di praticare sport.
La notizia può non sorprendere, conoscendo la linea di condotta dei talebani. Ma quello che si profila all’orizzonte è un triste e terribile déjà vu di quello che è già stato l’Afghanistan dal 1994 al 2001. Le donne sono state escluse dal governo, malgrado le tante promesse all’alba del ritorno dei talebani, le giornaliste sono scomparse e molte altre lavoratrici hanno perso il proprio posto e si aggirano per le strade come fossero ombre.
Le studentesse studiano in classi separate dai maschi, in quelle poche scuole e università che hanno ripreso le lezioni.
Nell’università Tolo-e-Aftab (l’Alba) poche studentesse ventenni siedono in un’aula in cui una tenda divisoria le separa dai colleghi studenti. Nadia, una ragazza iscritta al primo anno della facoltà di Economia è frustrata a arrabbiata.
Questa tenda è una vera vergogna. Un abuso. Disturba la nostra concentrazione e non vedo alcun motivo di tenerci separate dai nostri compagni maschi. I talebani non ci lasceranno lavorare. Studieremo, ma sarà inutile, saremo discriminate per sempre. I talebani non permetteranno che le nostre lauree ci diano accesso a posizioni di rispetto.
Non tutte le donne però si nascondono o si muovono nell’ombra. Molti gruppi hanno manifestato a Kabul e nella provincia nord-orientale afghana di Badakhshan, contro la formazione del nuovo governo ad interim tutto al maschile. Nel mirino dei talebani, che hanno disperso la folla sparando in aria, non ci sono solo le donne manifestanti. Durante le proteste sono stati fermati e picchiati anche alcuni giornalisti e cameramen.
Ma gli afghani non demordono, e neanche l’esercito dispiegato può però fermare i cittadini, uomini e donne, che non vogliono perdere i diritti conquistati in questi vent’anni.