Da questa vicenda che vede coinvolti Lapo Elkann, il trans Patrizia e il fotografo Roberto Buscemi si possono capire tante cose.
Oppure rimanere nel dubbio più atroce. Tutta questa organizzazione creata da Fabrizio Corona era qualcosa che veramente poteva contare su appoggi esterni anche da parte di personaggi dei servizi segreti?
Alla fine una foto compromettente è un buon metodo per togliere dalla circolazione una persona che non si desidera. C'è chi ricorre ai metodi alla James Bond e chi al gossip. L'efficacia è praticamente la stessa.
Leggiamo allora qui. Come mai, ci si chiede, due ore dopo il malore di Lapo, Corona chiama al cellulare?
Riportiamo allora l'articolo pubblicato su La Stampa.
Roberto Buscemi, free lance torinese, non vede l’ora di essere interrogato dal pm Woodcock «per allontanare ogni ombra». Persino quella del Sismi. E’ l’uomo che, la mattina del 10 ottobre 2005, si ritrovò nell’alloggio di Donato «Patrizia» Broco, in via Marocchetti, quando Lapo Elkann, vittima di un grave malore, stava per essere soccorso dal 118. Strana coincidenza.
Signor Buscemi, lei conosceva Fabrizio Corona? «All’epoca dei fatti, assolutamente no. Neanche per sentito dire.
Ascolto per la prima volta la sua voce due ore dopo il malore di Lapo Elkann. E ancora adesso mi domando come mai avesse il numero del mio cellulare, perchè abbia chiamato proprio me. Beh, questo è un mistero. Mi chiese se avevo fatto foto, gli dissi subito di no».
Dunque, Corona la cercava per le immagini scattate durante i soccorsi. Lei era presente, conferma? «Ero presente perchè “Patrizia”, che è una mia cara amica di sempre, mi ha chiamato, quella mattina.
“Roberto vieni subito”, mi disse concitata, “ho bisogno di aiuto…”. Quando sono arrivato in via Marocchetti, Lapo era disteso sul letto, coperto da un lenzuolo. Sembrava dormisse. Respirava male. Lei era spaventata. Le ho detto: “Ehi, hai già chiamato l’ambulanza?”. Mi rispose di sì».
D’accordo. Ma le foto? «Guardi, altri colleghi mi hanno detto che loro, soccorsi o no, le avrebbero comunque scattate. Io no. Ho troppa stima di Lapo, direi un affetto istintivo.
E’ un grande, una persona semplice, alla mano. La digitale era nella mia borsa, sempre con me. Non ho avuto esitazioni: non le ho fatte. Non è la prima volta, del resto».
Quindi, se non esistono, nessuno può averle trattate o vendute? «E’ questo il punto. Io no, ovviamente. E se qualcuno avesse fatto credere agli acquirenti che le foto invece c’erano? Se qualcuno ci avesse speculato sopra? Sarebbe il più classico dei bluff, no?».
Ma scusi, non potrebbero averle fatte altri, le foto? Per esempio gli addetti del 118 o i trans, o la stessa «Patrizia»… «Non ho visto nulla. Mi sembra impossibile. L’hanno afferrato, caricato sulla barella. Indossava normalissimi boxer, tanto per sfatare un’altra leggenda, quella dei vestiti da donna. C’erano sì, i vestiti, ma erano dei trans… Dopo non sono andato all’ospedale e ho seguito la vicenda da spettatore. Nei giorni scorsi mi sono ritrovato in Rai a fianco del papà di Lapo, da Baudo.
Gomito a gomito. Nessun imbarazzo. Non sono un ricattatore, né ho mai detto che Corona lo fosse».
Buscemi, lei è un reporter, non è che fosse appostato là sotto da giorni e che magari avesse ricevuto una dritta, magari dal vicecapo del Sismi, Marco Mancini o magari da Moggi o dai suoi amici, così, tanto per «incastrare» Elkann? «Ma figuriamoci. Io vado in via Marocchetti perché mi ha chiamato “Patrizia”. Basta con questa storia degli 007! Non esistono.
Lo spiegherò a Woodcock. Scusi un attimo che rispondo al telefono… Ah, è proprio “Patrizia”… La chiamo dopo. Dicevamo?».
Neanche uno scatto? Possibile? Lei era ben conscio di avere a portata di mano uno scoop mondiale, no? «Certo che sì. Ammetto: le foto le ho fatte dopo, quando Lapo era già in ospedale. Si vedevano i resti del festino, la droga, il disordine…Ho persino provato a venderle a un giornale, quelle foto.
Mi hanno risposto che non erano interessanti. Le ho ancora io, forse le ho distrutte, forse no. E non le ho passate a Corona».