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Fashion Victims è il titolo di un documentario presentato al Festival del Cinema Afriano, d’Asia e America Latina. Il documentario, girato nella zona meridionale dell’India, ha l’obiettivo di raccontare le condizioni di vita e di lavoro quasi disumane di un esercito di giovanissime schiave che producono la maggior parte dei filati utilizzati per la realizzazione di capi d’abbigliamento in tutto il mondo. Ecco la verità sulla moda raccontata da due professionisti che non hanno avuto intenzione di cedere alla facile retorica.
Fashion Victims: dalla parte delle donne
In India si produce la stragrande maggioranza dei filati per uso tessile. Dall’india arriva quindi il materiale necessario a produrre abiti costosi così come abiti di poco prezzo, come quelli che vengono comprati e venduti a pochi spiccioli nell’ottica del fast fashion.
Il mondo occidentale sta dimostrando gradualmente una certa attenzione all’eticità di alcuni processi produttivi ma, nella maggior parte dei casi, i controlli si concentrano nel comparto produttivo della coltivazione delle materie prime e nella realizzazione di prodotti finiti. Tutta la parte relativa alla produzione dei filati è più difficilmente tracciabile, quindi molto più raramente è stata oggetto di studio e di documentazione. Il documentario realizzato da Chiara Cattaneo e Alessandro Brasile ha proprio questa finalità: rendere “visibile” un mondo sommerso di schiavitù femminile nel Tamil Nadu, regione dell’India Meridionale.
Il sistema delle “spose felici”
Le bambine del Tamil Nadu, così come quelle dell’intera India, sognano di emanciparsi dalla famiglia d’origine attraverso un buon matrimonio. Per sposarsi però la donna deve poter offrire una cospicua dote alla famiglia del marito, oltre a farsi carico delle ingenti spese legate alla celebrazione del matrimonio. Non tutte le famiglie però hanno modo di assicurare alle proprie figlie il denaro e i beni necessari a mettere insieme una dote dignitosa: per questo motivo le giovani donne indiane decidono di lavorare nelle filande al fine di “comprare” la propria dote.
Spesso purtroppo il sogno di una vita felice si trasforma in un incubo: secondo il consolidato Sumagali Scheme (Sumagali vuol dire “sposa felice”) le ragazze lavorano per tre o cinque anni senza ricevere il proprio salario, che teoricamente viene corrisposto tutto insieme alla fine del periodo lavorativo. Inutile dire che, a volte, questo non accade.
Condizioni di lavoro inumane
Le operaie del settore tessile indiano lavorano in condizioni prossime alla schiavitù, mangiando e dormendo tutte insieme nei refettori che vengono costruiti nei pressi delle fabbriche e svolgendo anche turni di diciotto ore consecutive. Le ragazze, inoltre, non possono uscire dalla fabbrica e non possono, ovviamente, andare a incontrare la propria famiglia.
Le condizioni di enorme stress a cui le vere vittime del fashion sono sottoposte porta spesso all’insorgere di malesseri psicologici e malattie professionali, inoltre si verificano spesso casi di violenza e maltrattamenti che, nel peggiore dei casi, possono concludersi con la morte della giovanissima operaia.