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Molte persone finora hanno sempre sentito parlare di greenwashing, soprattutto negli anni più recenti.
Ora, però, a invadere ancora di più il mondo del “fare moda”, è un altro termine simile al precedente, ma con un senso intrinseco differente: andiamo alla scoperta del greenhushing, tra significato letterale e perplessità generali.
Il greenhushing, letteralmente “silenzio verde“, è un termine che è stato coniato nel 2008 dal portale web Treehugger. Quando si parla di greenhushing, quindi, ci si riferisce alle modalità che certe aziende fashion decidono di mettere in atto per quanto riguarda la comunicazione delle loro iniziative ambientali.
Ciò significa non volere volontariamente esporre (quindi nascondere) la reale impronta ambientale negativa di una certa attività, di un certo prodotto o di un certo servizio legato all’azienda e al suo “fare la moda”.
Tale scelta, opposta al fenomeno del greenwashing, sarebbe una conseguenza delle nuove direttive proposte dall’Unione Europea che entreranno effettivamente in vigore a partire dal 2024. L’obiettivo del greenhushing? Mettere sempre più in disparte il fenomeno del greenwashing.
Sebbene da un lato possa non sembrare così, in realtà il greenhushing nasconde dentro di sé alcuni aspetti piuttosto negativi.
L’incremento del greenhushing potrebbe infatti portare non poche “pericolosità” nei confronti dell’ambiente: perché? Se davvero sempre meno fashion brand decidessero di occultare le loro iniziative ambientali, il progresso ambientale comincerebbe a rallentare e ciò implicherebbe anche un rallentamento comunicativo anche da parte dei brand più piccoli.
Questi ultimi, di fatto, non si sentirebbero spronati ad adottare un approccio fashion più sostenibile. Insomma, sarebbe un cane che si morde la coda all’infinito senza soluzione.
In una situazione ambientale come quella attuale, l’importanza della sostenibilità è totalizzante e dunque sapere che molti brand rinuncerebbero alla trasparenza potrebbe peggiorare il quadro generale, di per sé già abbastanza “traballante”.
Greenwashing e greenhushing, per quanto suonino simili nella lettura, sono in realtà due fenomeni diametralmente opposti.
Se con greenwashing si descrive tutto quell’insieme di informazioni fuorvianti (talvolta anche assolutamente false) sui benefici ambientali di pratiche e prodotti, con greenhushing si intende il fenomeno opposto, ossia il nascondere in modo volontario dichiarazioni ed elementi legati alla sostenibilità più o meno presente di un brand piuttosto che un altro. Che cosa, allora, è meglio tra i due? È meglio la bugia o è meglio il silenzio? Molti pensano che sia meglio la “non dichiarazione”, ma le conseguenze del silenzio non sono buone.
In tutto questo quadro di termini, di nascondigli e di dichiarazioni false, la soluzione migliore a favore dell’ambiente sarebbe quella di dichiarare i propri sforzi, anche se piccoli, in modo tale da garantire una certa trasparenza e incentivare anche i brand minori ad adottare una filosofia green che possa, anche con poco, dare una concreta mano all’ambiente.
La consapevolezza e la comunicazione chiara e limpida sono i valori su cui il mondo della moda dovrebbe basarsi.
Con le bugie e con il silenzio, del resto, è impossibile trovare giovamenti, soprattutto quando si parla di moda.