Il tormento e l’estasi di Steve Jobs Comunale Monfalcone date

Un monologo su luci e ombre di un uomo simbolo della nostra epoca

Uno dei più geniali visionari della contemporaneità, un temibile ed efficientissimo imprenditore, un venditore di fumo, un monopolista, un terribile essere umano, un grande ispiratore, un promotore della creatività.

Steve Jobs, il cofondatore di Apple, amministratore delegato della Pixar, responsabile di prodotti come Macintosh, iMac, iPod, iPhone e iPad, è morto il 5 ottobre del 2011, ma la sua figura è ancora controversa.  

Non è di certo bastato il film biografico con Ashton Kutcher per placare la curiosità del grande pubblico, ugualmente affascinato da colui che pronunciò il celeberrimo discorso “Be hungry, be fool” e sconcertato dal comportamento di un uomo temuto follemente dai propri collaboratori.

Ben vengano dunque iniziative di analisi e riflessione come quelle del drammaturgo americano Mike Daisey che ha scritto il monologo Il tormento e l’estasi di Steve Jobs, prodotto in Italia da Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, tradotto e adattato da Enrico Luttmann, messo in scena da Giampiero Solari e interpretato da Fulvio Falzarano.

Oggi 14 gennaio e domani lo spettacolo è in scena al Teatro Comunale di Monfalcone, per poi far tappa il 16 gennaio al Teatro Verdi di Maniago, il 17 al Teatro Adelaide Ristori di Cividale del Friuli e il 18 gennaio al Teatro Luigi Bon di Colugna di Tavagnacco, e quindi prima a Milano al Teatro Franco Parenti dal 23 gennaio al 2 febbriao e infine dal 4 al 9 febbraio al Teatro Vascello di Roma.

Esempio di arte impegnata, il monologo ripercorre la carriera del creatore della Mela, in grado di rivoluzionare dal nulla la vita di milioni di persone, inducendo bisogni effimeri e senza ombra di dubbio superflui e insieme migliorando prestazioni e possibilità di comunicazione.

Allo stesso tempo vengono esplorati aspetti più oscuri della storia della Apple, come per esempio il dramma umano che si nasconde dietro all’assemblaggio dei dispositivi con la “i”, all’interno di grandi fabbriche (come a Shenzen, in Cina) in cui centinaia di migliaia di lavoratori vengono sfruttati e le condizioni di sicurezza non possono che essere definite barbariche, il tutto in ossequio alla logica del profitto.  

Scritto da Style24.it Unit

Lascia un commento

Leggi anche