Risate psicoanalitiche mascherate (poche) e uno stuolo di attori in gran spolvero: si conclude la prima stagione della parodia seriale
Cappuccio della felpa perennemente calato sul volto mascherato da un paio di occhiali da sole e delle vistose bendature di varia foggia, Johnny Palomba è un conduttore radiofonico, scrittore e critico cinematografico divenuto il volto comico dell’editore Fandango, che ha pubblicato tutti i suoi libri di “recinzioni”, recensione di pellicole recitate in uno stretto dialetto romanesco.
Il personaggio, di cui ancora non si conosce l’identità, ha presentato durante Arcipelago, il Festival Internazionale di Cortometraggi e Nuove Immagini di Roma, l’ultimo episodio della sua webserie Intrippment.
Nata come una parodia del serial In Treatment, telefilm a carattere psicoanalitico (originariamente israeliano poi rifatto in America e quindi in Italia con Sergio Castellito protagonista e Saverio Costanzo come regista), la sequela di 15 episodi ha proposto quasi in tempo reale una sorta di rovesciamento ironico delle serissime e drammatiche conversazioni terapeutiche della fonte originaria. A dialogare con il menefreghista e dispotico psicoanalista Palomba una serie di giovani attori italiani, più o meno poco noti o in procinto di fare il grande salto: Greta Scarano, Valerio Aprea, Michele Alhaique, Corrado Fortuna, Paola Minaccioni, Rolando Ravello e Alessandro Rossi.
Ogni puntata segue più o meno lo stesso formato, a parte il finale della prima stagione che riprende dalla conclusione del quattordicesimo episodio lasciato a metà: ogni paziente racconta la propria ossessione (sentirsi sporchi dopo aver ucciso vittime innocenti), il proprio tormento (essere scambiati per un altro), un rapporto difficile (il barista che vende a prezzo maggiorato il ciambellone), i guai della vita quotidiana (un paninaro troppo lento), e via dicendo.
Si tratta a tutti gli effetti di una vetrina per gli interpreti, che spesso tirano fuori delle buone prove da monologhi senza capo né coda e poco meno che improvvisati, cui dovrebbe corrispondere alla fine la battuta o la gag finale di Palomba, come in una barzelletta.
Peccato si rida molto poco, quasi niente in verità, anticipando spesso di vari scambi quella che sarà la battuta finale (un po’ deprimente il ricorso multiplo allo “sticazzi” come risoluzione comica), ma vale la pena apprezzare lo sforzo, sopratutto sapendo che è stato compiuto a costo zero.
Ci viene solo il dubbio che la webserie sia stata pagata dal fumettista Zerocalcare, i cui libri sono più volte presenti sullo sfondo, ma conoscendolo l’ipotesi pare del tutto improbabile…