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Il Victoria & Albert Museum di Londra ha deciso di dedicare un’affascinante esposizione alla moda dei più tradizionale abito giapponese, il kimono.
La mostra prende il nome di Kimono: Kyoto to Catwalk e racconta la storia e le evoluzioni del costume tradizionale il cui nome significa letteralmente «abito».
“Una cosa da indossare” o “abito”: è questa la traduzione letterale di kimono. Per i giapponesi è simbolo della cultura nazionale, per l’occidente rimane qualcosa di esotico, eppure irresistibile. All’origine era un semplice pezzo di tessuto, avvolto da sinistra a destra intono al corpo e fissato con una fascia chiamata obi.
Originariamente indossato da gente comune o, come indumento intimo, dagli esponenti dell’aristocrazia.
La sua storia inizia nei primi anni del 600, quando tutti a quel tempo lo indossano senza differenza di genere sessuale o status.
Proprio in quegli anni il Giappone ne fa un fashion statement e comincia a esportarlo in Europa. Nell’elegante Giappone di quel tempo, samurai, artisti e cortigiane rendono il kimono un modo per esprimere se stessi. Nel kimono, più che il taglio ed il modello dell’abito, è il motivo decorativo e cromatico che fa la differenza. Le indicazioni di stato sociale, identità personale e sensibilità culturale sono infatti espresse attraverso il colore e la decorazione dell’abito.
I kimono cominciano a essere importati in Europa dalla Compagnia delle Indie olandese e suscitano subito scalpore. Uno scambio che può definirsi bidirezionale: sono i kimono adesso a subire le influenze della moda europea.
Sono quasi 300 i pezzi in mostra al V&A e provengono da musei e collezioni private di Gran Bretagna, Europa, America e Giappone. Strettamente legato alla tradizione e quindi considerato immutabile e senza tempo, è un capo in realtà soggetto alle mode, ora come nell’antichità.
La mostra al V&A presenta il kimono come un’icona della moda dinamica e in costante evoluzione. La mostra al Victoria&Albert Museum si sviluppa attraverso un percorso espositivo che copre un arco temporale di oltre 350 anni di storia del costume e della moda giapponese. È suddivisa in varie sezioni, ciascuna delle quali pone l’accento su differenti modelli e periodi storici, esplorando l’evoluzione dei tessuti e dei motivi decorativi.
Lungo fino ai piedi, con ampie maniche e chiuso sulla schiena da una cintura in seta chiamata obi, sfoggiava stampe intricate e fantasie degne di un quadro. La sua forma fluente ha affascinato i designer già all’inizio del XX secolo. Ma non sono state solo le passerelle, del resto, a rendergli omaggio. Nella mostra londinese compare pure un pezzo di proprietà di Freddie Mercury e l’abito creato da Jean Paul Gaultier per il video musicale di Madonna “Nothing Really Matters”.
Dalla musica si passa alla settima arte. Il kimono ha fatto più di una comparsa nel cinema: dai costumi da Oscar di Memorie di una Geisha ai costumi di Star Wars: Episodio III ed Episodio IV modellati su kimono dai designer John Mollo e Trisha Biggar.
Abbiamo poi il costume indossato da Toshirō Mifune per Sanjuro, sequel di La sfida del samurai (1961), entrambi diretti da Akira Kurosawa.
A essere dunque scardinata è la convinzione di una sostanziale “immutabilità” del kimono nel corso dei secoli.
Attraverso quasi 300 opere, tra cui dipinti, stampe, film, accessori per abiti e disegni, tra gli altri, di Yves Saint Laurent, Rei Kawakubo e John Galliano, il kimono emerge come fonte costante di ispirazione per gli stilisti.