Non ho mai reputato Antonio Ricci una risorsa del tubo catodico, quanto piuttosto un astuto diavoletto che negli anni ha contribuito al declassamento della televisione italiana.
Qualche tempo fa lo avevo definito Il Signore delle marionette, e lui non l'aveva certo presa bene.
Ora, tuttavia, – nel mezzo degli scandali sui dirigenti RAI, sui politici e giornalisti muniti di divano-letto, sulle soubrette disposte a tutto – vorrei affidare alle sue parole (tratte da un'intervista di Cesare Lanza per Panorama) una veloce analisi della televisione moderna.
"Non ci siamo inventati nulla. E soprattutto non ci siamo inventati il nulla.
Le veline non le ho inventate io. Da santo non bevitore, mi limito a mostrare i mostri. Che a furia di mostrarsi diventano la norma. La televisione è corruzione per definizione, porno per vocazione. Non è finestra ma vetrina. Un’immensa vetrina a luci rosse. Pensare alle veline è la cosa più ovvia, ma le stesse giornaliste televisive oggi sono scelte con i criteri delle veline. Pensi a una insospettabile come Bianca Berlinguer che minacciò di non andare in onda senza il suo truccatore personale.
Sono tutte veline, da Bruno Vespa a Enrico Mentana".
Poi, nel corso della chiaccherata con Lanza, ne ha detta una delle sue "Vuole sapere una cosa? Le mie veline esigo che siano parlanti, gli do del lei e gli impartisco delle regole. Un predicozzo iniziale. Niente storie con il cast, niente nudi, le esorto a studiare e a sudare, a non frequentare i calciatori. Niente scorciatoie e niente tic da diva.
Dopo aver litigato con un cameraman quella peperina di Melissa Satta è venuta da me a lamentarsi. Le ho detto: guarda che tra una velina e un cameraman io scelgo sempre il cameraman", ma quell'analisi precedente ha dei tratti di sacralità.