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Con la stima di grandi scrittori italiani del ‘900, Lalla Romano raggiunge l’amore del pubblico con la prosa e la poesia.
Il suo carattere chiuso e riservato non sembra portarla nella direzione dell’autobiografia. Eppure è attraverso un linguaggio delicato e intenso che decide di raccontare pezzi della sua vita nelle sue raccolte.
Graziella Romano, detta anche Lalla (Demonte, 11 novembre 1906 – Milano, 26 giugno 2001), nei suoi quasi cento anni di vita è stata poetessa, scrittrice e giornalista italiana. Cresce in una famiglia piemontese di origini ebraiche dove coltiva la passione per la pittura.
Durante gli anni del liceo classico a Torino conosce esponenti letterari quali Mario Soldati, Franco Antonicelli o il grande Cesare Pavese. Qui conosce anche l’amore, a cui dedicherà poi la raccolta “Poesie per Giovanni”.
In questi anni però si dedica appunto alla manualità dell’arte iscrivendosi alla scuola di pittura di Felice Casorati e inizia ad occuparsi anche di critica al punto che svolge diversi viaggi a Parigi per studiarne i fenomeni culturali. All’età di 22 anni si laurea in lettere e una volta trasferitasi a Torino insegna storia dell’arte ai ragazzi delle medie.
Con l’arrivo della seconda guerra mondiale sente la necessità di tornare dalla madre a Cuneo e prende parte attivamente alla Resistenza con i “Gruppi di difesa della donna”. In questo periodo inizia però ad approcciarsi alla poesia e con grande supporto da parte del poeta Eugenio Montale inizia a pubblicare. Così nel 1941 pubblica con Frassinelli la raccolta “Fiore” e invia una copia a Giulio Einaudi, il quale l’aveva rifiutata, per dimostrargli che ci è riuscita.
Terminato il conflitto raggiunge il marito a Milano con cui riprende la sua vita di insegnante continuando anche a scrivere. Si dedica alla narrativa e pubblica nel 1951 “Le metamorfosi”, brevi testi in prosa.
Negli anni successivi scrive inoltre i primi due romanzi che non vengono però appoggiati dai colleghi scrittori che definiscono la sua scrittura autobiografica e piena di descrizioni tipicamente borghesi.
Il successo non tarda però ad arrivare. Nel 1969 vince infatti il Premio Strega con il romanzo “Le parole tra noi leggere” dove analizza il rapporto con il figlio adolescente. La produzione successiva, “L’ospite”, raggiunge l’attenzione di personaggi come Pier Paolo Pasolini che si complimenta per il linguaggio efficace e puntuale.
Oltre a continuare con la produzione creativa si dedica anche alla pubblicazione su diversi quotidiani come “Il Giorno” o “Il Corriere della sera”.
Nel 1986, dopo un periodo vedova, incontra il giovane fotografo Antonio Ria che la accompagna fino agli ultimi giorni della sua vita.
Con lui collabora alla pubblicazione dei volumi “La treccia di Tatiana”. Gli ultimi anni della sua vita li passa a scrivere, nonostante una cecità quasi totale, “Diario ultimo”, biografia pubblicata da lui successivamente.