Il mondo della tecnica e del progresso sembra aver completamente eclissato la dimensione puramente umana degli individui: viviamo in una società in rapida evoluzione, governata dalle logiche del profitto e che relega il piacere alla pratica di un consumismo sfrenato, a un edonismo irriflesso da cui non riusciamo a trarre un benessere profondo e duraturo.
Sempre più ci identifichiamo come consumatori di prodotti e di esperienze, immersi in un materialismo che non sembra lasciare vie di fuga. Sull’altare del progresso abbiamo sacrificato la nostra umanità, alla ricerca di sieri miracolosi, di esperienze prêt-à-porter, da consumare avidamente e da cui cogliere il plauso sociale. Trascinati dal vortice di mille riflessi abbiamo ignorato giorno dopo giorno la nostra parte spirituale, abbiamo smesso di guardare le stelle; pur piccolissimi dinnanzi alla natura e all’universo sentivamo di farne parte, mentre oggi, sul grande palcoscenico apparecchiato per noi dai social, viviamo nell’illusione di interpretare il ruolo del protagonista nella nostra personale messa in scena.
In questo contesto è spesso tra le mura domestiche che le persone ricercano uno spazio meditativo in cui cercare di stabilire un contatto con la propria spiritualità. Ecco, allora, che una parte della nostra casa può diventare il luogo prescelto per pratiche spirituali e meditative: per creare un setting adatto alla spiritualità possiamo decidere di inserire candele, al fine di ottenere un’illuminazione calda e naturale, oppure cuscini e altri oggetti, che possiamo facilmente reperire in un ingrosso articoli spirituali.
In questo modo potremo allestire una stanza o un piccolo spazio della nostra casa, per dedicarli alla cura della mente e del corpo grazie alla presenza dei giusti input sensoriali, capaci di stimolare in profondità i nostri sensi, per un’esperienza spirituale totale.
Il rifugio sicuro dell’anima
Nello smarrimento derivato dall’abitare una dimensione eminentemente materiale, che ci getta in preda a un’angoscia esistenziale, la quale ha in realtà radici sociali ben precise, i fenomeni globali del quiet quitting e della Great Resignation appaiono come reazioni naturali, quasi istintive. Per provare a sottrarsi una condizione umana che è sempre più spesso percepita come asfissiante, ricamata com’è tra le maglie di una trama che ci vuole produttori e consumatori, e che definisce la vita di ogni individuo come una linea retta, da percorrere, possibilmente, rispettando tutte le tappe nel minor tempo possibile, non resta che una silenziosa abiura dei comandamenti sacri dell’era del progresso, per ritrovare il tempo umano dello spirito, delle cose apparentemente futili, ma che in realtà sono caratteristica peculiare dell’essere umano.
Il tempo umano è piegato al volere del progresso e del consumismo, ma il prezzo da pagare è troppo alto, e sempre più persone hanno scelto, per questo motivo, di dedicare parte del loro tempo alla cura della propria spiritualità, alla ricerca di un benessere profondo e alla riscoperta di stadi di coscienza più consapevoli, in grado di definire i nostri bisogni più intimi, e tenerci lontano, al sicuro dal canto seducente delle cose vane, di esperienze usa e getta buone solo ad alimentare lo spettacolo sociale, ma in realtà incapaci di fissarsi nella coscienza come esperienze ricche di significato, come nutrimento dell’anima.
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