Come ogni settimana, Io Donna racconta la storia di una grande attrice: questa volta è il turno della bella Laura Morante che torna al cinema con “Ciliegine”, pellicola di cui non solo è protagonista, ma anche regista e coproduttrice. Solo su World Celebrities l’anteprima dell’intervista.
“Spiega Laura Morante di aver scritto Ciliegine, il primo film di cui è protagonista, regista e coproduttore, partendo da un saggio di Freud. Eppure Ciliegine è una commedia, «che affronta il romanticismo con ironia ma anche con nostalgia; un po’ se ne fa gioco, un po’ lo rimpiange».
Lo spunto però viene dall’opera in cui, un secolo fa, il padre della psicoanalisi interpretò un bestseller del suo tempo, il racconto di Wilhelm Jensen Gradiva. Racconta la Morante:
«È la storia di un archeologo, Norbert, che non riesce a legare con l’altro sesso. Ha un’amica d’infanzia, Zoe, che lo ama da sempre; ma lui non se n’è mai accorto. Un giorno Norbert, in viaggio per l’Italia, vede un bassorilievo etrusco raffigurante una donna, la Gradiva appunto, e se ne innamora. Zoe, che l’ha seguito di nascosto, gli appare vestita come la donna del bassorilievo, e finalmente lo conquista».
E Freud?
«Freud intuisce che Norbert è già innamorato di Zoe; ma prima deve passare attraverso l’autoinganno, per superare la propria fobia».
Anche in Ciliegine accade qualcosa del genere. C’è una donna, Amanda, interpretata dalla Morante, che non riesce a legare con gli uomini; al punto da rompere un legame, la notte di Natale, perché lui ha rubato la ciliegina sulla torta, con un gesto che tradisce l’egoismo. A Capodanno però Amanda incontra un uomo straordinario, di cui avverte il fascino. Peccato che sembri gay; anzi, lei lo crede tale, in seguito a un gioco di equivoci che si protrarrà a lungo, perché Amanda come Norbert ha bisogno dell’autoinganno per vincere la propria paura, sino all’apparente lieto fine… È una tappa cruciale, questo film, per Laura Morante. Non solo perché vi è l’eco di molte sue passioni: Parigi, dove ha vissuto a lungo, per amore, e dove il film è girato; i Peanuts, in particolare il personaggio di Lucy, la ragazzina che ribalta i maschi con le sue urla. A Ciliegine hanno lavorato tutti e tre gli uomini più importanti della sua vita. Con Daniele (Costantini, ndr), il padre di Eugenia, la primogenita (anche lei attrice), ha scritto il film. Georges (Claisse, ndr), il padre francese di Agnese, la seconda figlia (musicista: suona la batteria), ha una parte come attore. Francesco (Giammatteo, ndr), l’attuale marito, architetto, si è dovuto improvvisare produttore insieme con la Morante, affiancando con il 20% una casa francese. Si era pensato che pure Nanni Moretti fosse stato un uomo importante per lei. «In realtà, non soltanto non siamo mai stati fidanzati – sorride Laura – ma non ci sentiamo neppure così spesso. Certo, ci conosciamo da una vita, da prima che facessi l’attrice. Abbiamo un piccolo rito: ci chiamiamo ogni agosto per i nostri compleanni; il suo è il 19, il mio il 21. Però ci sono altri uomini di cinema che sento più spesso. Ad esempio Gianni Amelio». Amelio, Moretti, e prima ancora Giuseppe Bertolucci e il fratello Bernardo: il percorso della Morante è folgorante fin dagli esordi. «Eppure da ragazza pensavo alla danza, non al cinema. Fino a 17 anni sono cresciuta in provincia, a Grosseto. Mio padre (ebreo, antifascista, magistrato poi divenuto avvocato) aveva una splendida biblioteca, anche se vietava a me e ai miei nove tra fratelli e sorelle di entrarci. I film che arrivavano in provincia mi sembravano molto meno interessanti dei romanzi. Fino a quando non vidi 8½: i gesti di Anouk Aimée; la scena del provino, con la distinzione tra gli attori che incarnano un personaggio e quelli che lo interpretano. Una folgorazione. Proseguii con Buñuel. Bresson. Buster Keaton».
Il padre di Laura Morante era fratello di Elsa, la grande scrittrice. «La zia non aveva figli. Ero la sua nipote preferita, veniva spesso a trovarmi. Poi ruppe con mio padre. Si amavano, ma i loro litigi erano terribili, stavano anche un’ora e mezza al telefono a gridare; non su cose materiali, magari discutevano di Kafka, e papà la rimproverava, le diceva che aveva un carattere impossibile. Mio fratello Daniele le è rimasto vicino. Io no. L’ultima volta che la incontrai per strada, feci finta di non vederla». Laura ha impersonato un’altra grande scrittrice, Sibilla Aleramo. «È un ruolo rimasto simpatico a tutti, me lo ricordano spesso con affetto. Invece un po’ tutti trovano antipatico un personaggio cui sono affezionata, la donna di Ricordati di me, che sogna di fare l’attrice e si innamora del suo insegnante di teatro senza accorgersi che è omosessuale». Dice la Morante che «l’attrice è un mestiere da fare sul serio, senza prendersi troppo sul serio. Altrimenti c’è da impazzire. Si è sempre nelle mani degli altri: del regista che ti sceglie, del pubblico che ti esalta o ti dimentica senza motivi apparenti». Lei ha trovato un suo equilibrio anche grazie alla psicoanalisi. «Vorrei riprendere. Mi frena un aspetto che mi dà molto fastidio: troppi analisti sono evasori fiscali…».
Dal chirurgo estetico invece non la vedranno mai. «Ho lasciato scritto ai miei cari: “Se mi faccio ritoccare, sopprimetemi”. Una donna passa la vita ad accettarsi, a imparare ad amarsi, e un giorno si affida a un bisturi che le cambia i tratti. Mi pare un grave errore…».