“The Hunger Games” uscirà da noi il primo di Maggio e, oltre alla bellissima Jennifer Lawrence tra i protagonisti spicca anche Lenny Kravitz. Solo per World Celebrities un assaggio dell’intervista che troverete sul nuovo numero di Io Donna, in edicola il 24 Marzo.
“Stimola l’iperbole, Lenny Kravitz (foto: infophoto). Difficile negare che sia bello, affascinante e famosissimo. Canta, compone e produce musica. Ha vinto quattro Grammy Award consecutivi, ha scritto per Madonna e Michael Jackson. Il suo album Greatest Hits del 2000 ha venduto 11 milioni di copie. Gran seduttore, ha in curriculum relazioni importanti. A Nicole Kidman, fidanzata nel 2004, ha anche dedicato una canzone, Lady. Se non bastasse, quando s’imbatte in un soggetto che gli interessa, accetta volentieri di fare l’attore: dopo il suo ruolo in Precious, nel 2009, appare ora in Hunger Games. Nel film Kravitz è Cinna, lo stilista personale dei Games («L’ ho immaginato un po’ Yves Saint Laurent, un po’ Tom Ford» spiega), che diventa anche confidente e sostegno psicologico di Katniss/Jennifer Lawrence. All’intervista si presenta vestito tutto di nero, al collo porta una catena di metallo brunito e brillantini, una serie di anellini alle orecchie e gli inseparabili occhiali neri.
Al secondo film, e con un terzo in cantiere, Lenny Kravitz ormai ha anche una carriera cinematografica? “È cominciato per caso, una sera di qualche anno fa, in un ristorante: ero con Julian Schnabel che mi presenta Lee Daniels, il regista che di lì a poco avrebbe girato Precious. Credo di essere a un punto della mia vita dove tutto sembra aver trovato il posto giusto. Quando ero bambino recitavo a teatro. Mia madre faceva parte del Negro Ensemble Company, un gruppo molto affermato negli anni Sessanta e Settanta a New York. Infatti tutti pensavano che sarei diventato un attore”.
E invece?
“Invece la musica mi ha conquistato. Lei ha molte passioni. Ha fondato anche un’azienda di interior design… Anche in quel caso tutto risale alla mia infanzia. Da bambino mi piaceva scegliere e sistemare le mie cose, le luci, gli oggetti. Quando con il primo album mi sono potuto permettere un appartamento a New York, finalmente ho potuto arredarlo a modo mio, costruendo anche i mobili. Una passione che è diventata un’ossessione: compravo una casa, l’arredavo e la rivendevo”.
E poi, com’è andata?
“A un certo punto ho deciso che forse potevo fare questo lavoro per altra gente. E così Kravitz Design è diventata una bella ditta. Ora mi sto occupando di un condominio di 47 piani a Miami. Sto lavorando con Philippe Starck e Sam Nazarian e in aprile sarò a Milano con un progetto segreto… E dire che all’inizio dava l’impressione di vivere con disagio il successo. Deve essere il classico senso di colpa ebraico! (ride). C’è una battuta di Woody Allen che ripeto sempre: «Se chi mi sta intorno non è contento, anche per me è difficile esserlo“.
Quanto è importante per lei la fede?
“Sono cresciuto apprezzando la cultura ebraica, ma da piccolo frequentavo sia il tempio sia la chiesa, mia nonna era cristiana. Non ho mai capito i pregiudizi, neppure mi rendevo conto che ci fosse differenza tra bianchi e neri. Non sapevo che mio padre fosse bianco finché non me lo fecero notare. Pensavo che tutti fossero diversi, come le persone che frequentavano casa nostra. Io credo fermamente in Dio e Dio è sempre presente nella mia vita”.
Lei è figlio unico, vero?
“Sì, ero un bambino per certi versi introverso: ero socievole, ma allo stesso tempo avevo bisogno di spazio per me stesso. Passavo ore e ore da solo, sapevo come tenermi compagnia“.
Chi l’ha influenzato nella sua vita?
“Mia madre. È stata la persona più importante, purtroppo se ne è andata troppo presto. Dedico tutto a lei. Anche il fatto di passare metà del mio tempo in Francia è per lei, che sognava sempre di andarsene in pensione lì, avere una casa piena di libri, imparare il francese, bere vino e godersela.“
Quando si sente giù, che cosa l’aiuta?
“Scrivo una canzone”.