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Nonostante le storie avute con donne note, tra cui Coco Chanel o la scrittrice Elsa Morante, il regista milanese non ha mai nascosto il suo orientamento omosessuale.
Questo, la grande militanza politica e il realismo hanno reso Luchino Visconti uno dei personaggi più interessanti del ‘900. Nonostante la vita agiata e il titolo nobile sceglie di non essere un ereditario passivo. Il regista prende in mano la sua vita e ne crea qualcosa di unico.
Luchino Visconti di Modrone, conte di Lonate Pozzolo (Milano, 2 novembre 1906 – Roma, 17 marzo 1976), è stato un regista e sceneggiatore italiano.
Figlio dei proprietari della più grande casa farmaceutica ed erede del titolo nobile, passa un’infanzia nell’agio. Da ragazzo frequenta un liceo importante senza risultati strabilianti, ma mostra particolare interesse verso la musica e il melodramma.
La carriera cinematografica di Visconti inizia a Parigi nel 1936 seguendo gli insegnamenti di Renoir e conoscendo anche la stilista Coco Chanel con la quale ha una breve storia.
Qui entra in contatto con movimenti antifascisti e si avvicina alla sinistra.
Dopo la morte della madre e il forzato ritorno in Italia si stabilisce a Roma e incontra collaboratori della rivista “Cinema” che segna in modo forte la sua vita.
Nasce infatti in questo contesto la volontà di abbandonare una visione leggera e melensa delle commedie in favore di una narrazione più realistiche. Realizza quindi il suo primo capolavoro, “Ossessione”, nel 1942 ispirato al romanzo di James Cain.
Dopo l’armistizio dell’otto settembre, Visconti collabora con la Resistenza con il nome di Alfredo. Mette a disposizione casa sua per accogliere militanti antifascisti ma viene presto catturato da occupanti tedeschi.
Alla fine del conflitto Visconti collabora alla realizzazione del documentario “Giorni di gloria”, un film di regia collettiva dedicato alla Resistenza.
Nel 1948 riprende la produzione di film propri scegliendo di realizzare un film forte sulla condizione delle classi sociali più povere.
Questa denuncia prende il nome di “La terra trema”, adattamento dei Malavoglia dell’autore siciliano Giovanni Verga.
Gli anni proseguono e nel 1951 realizza “Bellissima” analizzando il mondo cinematografico visto dietro le quinte. Tre anni dopo realizza il primo film a colori chiamato “Senso” che determina per la critica una rottura con il neorealismo. Riprende però l’impegno politico negli anni successivi con la realizzazione di “Le notti bianche” sull’invasione sovietica in Ungheria che vince il Leone d’argento al festival del cinema di Venezia.
Un altro progetto importante narrato con scene crude e violente è “Rocco e i suoi fratelli” del 1960 che lo identifica definitivamente come comunista (viene soprannominato infatti “conte rosso”).
Pian piano le condizioni di salute peggiorano ma riesce a realizzare gli ultimi film, “Gruppo di famiglia in un interno” nel 1974 e “L’innocente” nel 1976 tratto dal romanzo di Gabriele d’Annunzio. Lo stesso anno viene invaso da una grave forma di trombosi che lo porta via.