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L’ultimo decennio ha visto alla Casa Bianca il primo presidente, Barack Obama, e la prima vicepresidente, Kamala Harris, neri. Sono serviti più di cinquant’anni e ancora oggi il problema del razzismo non può dirsi risolto, ma si deve un pensiero a Martin Luther King. Forse sarebbe accaduto lo stesso, ma come dice un vecchio proverbio: “la storia non si fa con i se e con i ma”. Quindi è giusto riconoscere il merito a quel pastore che un giorno ha deciso di dire basta alla segregazione razziale negli Stati Uniti.
Chi era Martin Luther King
Michael King Jr. noto come Martin Luther King (Atlanta, 15 gennaio 1929 – Memphis, 4 aprile 1968), è stato un pastore protestante e attivista statunitense. Cresce in Georgia con la madre e il padre reverendo della Chiesa Battista in una zona borghese della città di Atlanta. Qui frequenta le scuole e inizia ad avere le sue prime esperienze concrete con il razzismo quando al ritorno da una gara oratoria viene obbligato a cedere il suo posto sull’autobus a un bianco.
Prosegue gli studi e si iscrive all’università per accettare in seguito l’incarico di pastore rinunciando ad alcuni progetti che aveva in mente per il futuro. In questi anni infatti i neri sono vittime della segregazione razziale negli Stati Uniti e il giovane sente la necessità di agire concretamente per cambiare le cose.
La storia di Rosa Parks e l’inizio delle proteste
Un giorno, però, sembra arrivare il pretesto perfetto per riuscire a combattere le disuguaglianze. Il 1° dicembre 1955 Rosa Parks è seduta su un autobus di Montgomery per tornare a casa e arriva il fatidico momento. Il conducente chiede ai neri di alzarsi e cedere il loro posto ai bianchi e la giovane non si alza. Viene chiamata quindi la polizia che la arresta per violazione delle norme.
Passano poche ore quando Martin scopre l’accaduto e riunisce chi ha desiderio di protestare nella sua chiesa. Si decide di boicottare i trasporti attraverso una manifestazione pacifica che si trasforma però in tumultuosa con l’arresto del pastore e la distruzione della sua casa. King diventa il simbolo e il leader del movimento, non lasciandosi abbattere dalle minacce continua ad organizzare manifestazioni.
“I have a dream” e la legge sui diritti civili
Si arriva a inizio anni ’60 ad aver raccolto più di 200.000 adesioni e il centro di Washington è invaso dai manifestanti che invocano l’uguaglianza. Tra i partecipanti si vede un buon numero di sostenitori bianchi che chiedono di poter convivere pacificamente insieme.
Durante questo corteo vengono pronunciate le parole più famose di Martin Luther King:
«Io ho un sogno: che i miei quattro figli piccoli potranno vivere un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere».
Nel 1964 le manifestazioni portano i loro frutti e dopo il lungo impegno viene approvata la legge sui diritti civili che condanna le discriminazioni razziali. Si elimina quindi la distinzione tra bianchi e neri nelle scuole e negli esercizi pubblici. Ovviamente prima che venga applicata da tutti i cittadini si passa per una fase di grande violenza generata dagli estremisti bianchi del Ku-Klux Klan.