Michael Moore mi piace, i suoi docu-film li ho sempre visti e apprezzati.
Interessanti e coraggiosi affrontano tematiche calde e controverse.
Oggi però leggo questo articolo (riportato più sotto) di Marco De Martino per Panorama e penso:
"Va bene, continuiamo a guardare Moore, ma stiamo anche un pochetto attenti a come codesto individuo crea i documentari. Devo dirlo anche ai miei lettori".
Traduzione: continuate a vederlo, ma con lo stesso spirito critico con cui Moore analizza la società americana.
Mentre Michael Moore è ancora chiuso in sala di montaggio a terminare Sicko, il suo nuovo documentario sul sistema sanitario americano che verrà presentato al Festival di Cannes, già fanno discutere gli stratagemmi che ha usato nella lavorazione del film.
Per dimostrare che la sanità degli Stati Uniti è inferiore anche a quella dei paesi più poveri, la casa di produzione del regista ha infatti portato a Cuba alcuni dei soccorritori di Ground Zero che ora lamentano fastidi respiratori: «Moore sta cercando di approfittare della nostra sofferenza» dice Michael McCormack, uno dei malati dell’11 settembre che è stato lasciato a casa dopo che gli era stato offerto il viaggio della speranza.
Il metodo Moore non sorprende Debbie Melnyk e Rick Caine, filmmaker che per due anni hanno seguito il regista di Fahrenheit 9/11 con l’intenzione di raccontare in positivo la sua storia, e che hanno finito per diventare i suoi principali accusatori: il loro documentario Manufacturing dissent (Manipolare il dissenso) sbugiarda alcuni dei momenti chiave dei film di Moore ed è considerato una delle principali minacce al lancio di Sicko da parte della casa distributrice Weinstein.
«Politicamente siamo d’accordo con lui, ma è difficile continuare a pensare al suo lavoro come a una rappresentazione fedele della realtà: pur di dimostrare le sue idee talvolta Michael è molto spregiudicato» racconta Rick Caine a Panorama.
Che Moore pieghi la realtà ai suoi bisogni non è una novità: Fahrenheit 9/11, il suo film contro l’amministrazione Bush, è pieno di piccole, e ampiamente documentate, imprecisioni. Ma le manipolazioni a cui si riferisce Caine sono più gravi.
A partire da quelle che si trovano in Roger e io, il documentario di Moore sull’impatto che la General Motors ha avuto sulla cittadina di Flint, vicino a Detroit.
Per tutto il film Moore fa credere allo spettatore di avere tentato senza successo di intervistare Roger Smith, allora amministratore delegato della casa automobilistica, che si è sempre negato alla telecamera. «La verità è che Michael Moore ha parlato con Smith non una ma due volte, in entrambi i casi davanti alla telecamera» dice Caine.
«Il primo incontro è durato 15 minuti e Moore ha deciso di nasconderlo perché avrebbe distrutto la premessa del film».
Nello stesso documentario un telecronista racconta di come sia stato impossibile fare un collegamento televisivo da Flint perché qualcuno aveva rubato il camion usato per le riprese. «Peccato che l’episodio non sia mai avvenuto» dice Caine.Quando vide per la prima volta Fahrenheit 9/11, Caine rimase sorpreso dalla scena in cui il presidente George Bush si rivolge a una platea dicendo: «Che pubblico straordinario: i ricchi e gli ancora più ricchi».
Ma secondo le sue rivelazioni anche quella scena è stata manipolata da Moore: a chi parlava in quella cena era stato esplicitamente chiesto di prendersi in giro, e poco dopo lo avrebbe fatto anche Al Gore affermando di avere inventato internet. «La cosa straordinaria è che abbiamo scoperto queste manipolazioni per caso: anche i dipendenti di Moore che ci hanno parlato male di lui al telefono poi si sono rifiutati di farlo in video» spiega Caine.
Il quale comunque dice a Panorama che quando uscirà Sicko lui sarà in prima fila, con i popcorn in una mano e la tessera sanitaria del Canada, dove vive, nell’altra: «Sono certo che sarò d’accordo con le idee di Moore, ma stavolta guarderò il suo film con lo stesso spirito con cui ho visto un altro famoso film di critica sociale sugli Stati Uniti, Borat. Con la differenza che Sacha Baron Cohen almeno dice chiaramente che la sua è opera di fantasia».