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Secondo le stime sono circa 27 milioni le donne costrette a subire la pratica della mutilazione femminile: il fenomeno ha avuto un grave aumento, dopo un periodo di forte decrescita, dopo la pandemia di Coronavirus.
Quella della mutilazione genitale femminile è una piaga sociale che affligge da secoli alcune culture e Paesi del mondo. I dati sono sconvolgenti e riguardano soprattutto le bambine giovanissime, alle soglie della pubertà. Si tratta di un’età della vita in cui le bambine diventano donne e spesso sono costrette dalle famiglie ad unirsi in matrimoni precoci. Proprio l’infibulazione, ovvero la mutilazione dei genitali femminili, costituisce uno dei riti di passaggio verso l’età adulta delle donne.
Un rito che però è una vera e propria violenza e può portare a infezioni gravi e addirittura alla morte.
Nell’era del Covid tutto ciò si è acuito. In tutto il mondo la pandemia ha avuto gravi conseguenze soprattutto sulle donne: calo degli stipendi, perdita del lavoro, violenza domestica durante i mesi del lockdown. Il culmine della violenza di genere è proprio la mutilazione genitale femminile: anche questa pratica ha visto un picco durante e dopo il Coronavirus.
Sarebbero in pericolo circa due milioni di bambine, che a causa della crisi economica conseguente alla pandemia ha dovuto lasciare la scuola, tornando alla mercé delle proprie famiglie e delle loro volontà. Kenya, Somalia ed Egitto sono, secondo i dati, i Paesi nei quali avviene il maggior numero di mutilazioni genitali femminili: sono circa 27 milioni le donne nel mondo che sono state costrette a subirla.
Negli ultimi decenni la pratica della mutilazione genitale femminile è stata sensibilmente ridotta soprattutto grazie alla sensibilizzazione e alla lotta messa in atto dalle svariate associazioni a livello mondiale. L’Agenda ONU aveva stabilito come anno di raggiungimento del traguardo ‘zero MGF’ il 2030 ma la pandemia ha stravolto tutto. Anche secondo il rapporto dell’Amref Health Africa il Coronavirus ha rallentato il processo, ritardandolo di circa 2 anni. Ciò a causa del distanziamento sociale che mette in difficoltà il processo di sensibilizzazione ed empowerment femminile; a causa della chiusura delle scuole e quindi della permanenza a casa; a causa dell’aumento della povertà che ha aumentato il numero di matrimoni precoci.
Anche i servizi di assistenza sanitaria e di reinserimento in comunità, molto utili per combattere la pratica della mutilazione, sono sensibilmente diminuiti con la pandemia.
La sensibilizzazione è uno degli strumenti più efficaci per prevenire la violenza di genere e quindi anche la mutilazione genitale femminile. Sono numerose le donne che si sono esposte per raccontare la propria storia e la propria esperienza. Una di esse è Ifrah Ahmed, l’attivista somala che ha subito essa stessa l’atroce pratica e lotta per combatterla attraverso le molteplici associazioni da lei fondate. Alla sua vita è ispirato il film del 2019 A Girl from Mogadishu.
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