Argomenti trattati
La Pink Tax, letteralmente ‘tassa rosa’, è uno dei tanti modi con cui le leggi del mercato discriminano l’universo femminile.
La regola è breve e concisa: se sei donna paghi di più. In che senso? Perché e soprattutto in quali casi il portamonete del gentil sesso sgancia più soldini rispetto agli uomini?
La Pink Tax, la cui traduzione letterale è ‘tassa rosa’, è l’aumento di prezzo delle merci dedicate al pubblico femminile che si differenziano dai loro corrispettivi neutri soltanto per caratteristiche di packaging o di elementi connotanti il genere, come il colore rosa.
Le leggi che regolano il mercato stabiliscono che il prezzo di un determinato prodotto è dato dal rapporto tra “presupposta domanda e offerta”. In parole povere, il costo di un oggetto ‘x’ aumenta quando si ipotizza che la domanda possa superare l’offerta. La Pink Tax, ovvero il sovrapprezzo dei prodotti femminili, si basa proprio su questa dinamica.
Il fatto che la donna sia ‘sottovalutata’ rispetto all’uomo non è una novità, ma nel caso della Pink Tax, dove nasce la discriminazione? La Professoressa Marcella Corsi, docente di economia presso l’Università la Sapienza e una delle fondatrici di inGenere, ha dichiarato: “La discriminazione nasce dallo stereotipo culturale di una donna con molto tempo libero che impiega nello spendere i soldi che non guadagna.
Una figura lontana dalla realtà e risalente agli anni ‘50”. Da ciò nasce la tendenza del mercato a speculare su determinate categorie di consumatori, in questo caso le donne.
Corsi ha spiegato:
Il problema della Pink Tax si può collocare tra i fenomeni di discriminazione di prezzo legati alla ‘tipicizzazione’ dei consumatori. Gli studi di mercato dimostrano che le donne sono più facilmente prese di mira da queste dinamiche, ma le stesse possono colpire anche gli uomini, o meglio categorie di uomini cui viene attribuita dal mercato una maggior capacità di spesa. Basti pensare allo stereotipo dell’uomo omosessuale ricco, fissato con la cura del corpo e con l’estetica
Secondo lo studio portato avanti da Antonio Pilello, la merce destinata ad un pubblico femminile è sottoposta a maggiori rincari rispetto a quella destinata a soggetti di sesso maschile e, per il momento, l’unica soluzione è tenere d’occhio la variazione dei prezzi nel tempo.
Dando uno sguardo ai prodotti che potremmo definire ‘di largo consumo’, l’esempio più lampante è quello dei profumi: “Su 27 prodotti analizzati, 20 varianti ‘pour femme’ a parità di costo di produzione, hanno un prezzo a millilitro più alto.
Si parla del 27% in più, pari a 12,3 centesimi in più per millilitro. Ma oltre ai profumi, il campo della discriminazione verso i prodotti femminili è vasto”. Dai giocattoli per bambine all’abbigliamento, passando per il parrucchiere fino ad arrivare agli assorbenti: la Pink Tax è ovunque. Ovviamente, il dato preoccupante non è rappresentato soltanto dalla ‘tassa rosa’, ma anche dalla differenza salariale che le donne subiscono rispetto agli uomini, per non parlare dei contratti di lavoro dove la voce ‘gravidanza’ fa rima, nella maggior parte dei casi, con una bella disoccupazione.
Il problema è ampio e la sua risoluzione sembra, purtroppo, lontana anni luce.