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Con il referendum abrogativo del 1981 gli italiani si sono espressi chiaramente: hanno scelto di mantenere quella legge che legalizzava l’aborto entro i primi 90 giorni di gestazione, legge che, però, prevede per i medici il diritto di esercitare l’obiezione di coscienza. A quarant’anni da quel referedum, cos’è cambiato? Abortire in Italia è un diritto garantito?
Referendum aborto in Italia: i quesiti
La legge 194 che depenalizzava l’interruzione di gravidanza è entrata nel nostro ordinamento il 22 maggio 1978. Al referendum del 17 e 18 maggio1981 i quesiti sottoposti agli elettori erano due: uno, su proposta dei Radicali, voleva allargare la possibilità di abortire anche alle minorenni, mentre l’altro, proposto dal Movimento per la Vita, chiedeva l’abrogazione della legge. Entrambi furono respinti e la legge è rimasta.
Tutte le donne in Italia possono interrompere volontariamente una gravidanza nei primi 90 giorni di gestazione, anche dopo, tra il quarto e il quinto mese, ma solo per motivi di natura terapeutica. Tale legge prevede però dei limiti che ancora oggi sono il motivo per cui abortire, nella pratica, non è così semplice: i medici hanno diritto all’obiezione di coscienza.
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Referendum aborto in Italia: le disparità d’accesso
L’Europa le chiama “disparità d’accesso all’interruzione di gravidanza a livello locale e regionale”. Ovvero: in Italia è difficile abortire ma in alcune zone è più difficile che in altre. Il Consiglio d’Europa nel 2013 aveva sollecitato l’Italia ad assicurare agli utenti più personale sanitario perché i dati forniti dal governo dimostravano che il personale medico specializzato nel fornire il servizio era insufficiente. Per mancanza di medici, quindi, ancora oggi in Italia la legge sull’aborto non è completamente applicata e il punto cruciale secondo l’Europa sta proprio nella disparità di trattamento tra i medici obiettori e quelli che non lo sono.
Il numero di ginecologici obiettori di coscienza è addirittura in aumento: nel 2018 si parlava del 69% dei ginecologi e del 46,3% degli anestesisti con le punte più alte in Molise e nella provincia di Bolzano. Anche l’aborto farmacologico non è sempre garantito: per ora rappresenta solo il 20% dei casi ed è osteggiato in alcune regioni come Umbria, Marche e Abruzzo con l’imposizione di un ricovero ospedaliero non richiesto dalle norme del ministero della Salute o il divieto di fare interruzioni di gravidanza nei consultori.
Referendum aborto in Italia: le percentuali di obiettori
In alcune zone d’Italia praticare un’interruzione di gravidanza è quasi impossibile. Nel Molise è obiettore di coscienza il 93,3% dei ginecologi, il 92,9% nella Provincia Autonoma di Bolzano, il 90,2% in Basilicata, l’87,6% in Sicilia, l’86,1% in Puglia, l’81,8% in Campania, l’80,7% nel Lazio e in Abruzzo. Sono numeri che fanno capire quanto sia ancora difficile abortire in Italia, a quarant’anni da quel referendum che sanciva l’aborto come un diritto.
Ma perché tanti medici obiettori? Nell’ultimo decennio la percentuale è passata dal 58 per cento al 70 per cento dei medici, situazione che non trova paragoni in altri Paesi europei simili all’Italia (in Francia e Gran Bretagna, per esempio, esiste una clausola di coscienza simile ma se ne avvale il dieci per cento dei medici). Il fatto è che in Italia l’obiezione di coscienza non dipende molto dalla coscienza, ma da un sistema che la incentiva.
La clausola di quella legge pensata per salvaguardare la morale dei medici pro-life ha finito per creare un paradosso per cui essere non obiettori vuol dire complicarsi la vita e la carriera. Si parla di discriminazioni, disprezzo da parte dei colleghi e politiche di assunzioni e promozioni che privilegiano gli obiettori. E così, finisce per diventare obiettore anche chi non lo sarebbe per propria convinzione. A rimetterci, le donne italiane che dovrebbero vedersi garantite un diritto.
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