La resilienza è il vero segreto della felicità

Che cosa si intende davvero quando si parla di resilienza? In che modo ha a che fare con la felicità? Come metterla in pratica? Scopriamolo insieme...

Sui social network, negli ultimi anni, non si fa altro che citare la parola “resilienza“, ma in pochi sanno in cosa consista davvero. La resilienza è strettamente collegata ad un’idea di felicità pratica, che si costruisce concretamente giorno per giorno e non come quella da ultima riga delle favole. Il “vissero per sempre felici e contenti” è come il “due cuori e una capanna”: stantio ed utopico. Quindi, in che cosa consisterebbe davvero questa resilienza? Come sarebbe possibile metterla in pratica? Cerchiamo di capire meglio di cosa si tratti e magari, perché no, migliorare la qualità dei nostri pensieri!

Resilienza

Che cos’è la resilienza? Partiamo da un presupposto fondamentale e cioè l’etimologia della parola. L’eminente Accademia della Crusca, ente che si occupa della purezza della lingua italiana, si è occupata anche di questo argomento.

L’accezione della parola resilienza, in principio, era legata ad un mondo diverso da quello personale e psicologico. Infatti, in campo ingegneristico e fisico, la resilienza si riferisce alla qualità di un materiale resistente ad urti, che assorbe un’energia e che poi la restituisce in maniera diversa, dopo la deformazione subita.

L’origine di questa parola è latina: “il verbo resilire si forma con il prefisso re e il verbo silire che significa letteralmente saltare, fare balzi, zampillare”. Nel passaggio dal latino all’italiano, il sostantivo non ha subito grosse variazioni ed infatti resilientia si è passati a resilienza.

Nel corso dei secoli dunque, questa parola era utilizzata per descrivere oggetti che che rimbalzano, o comunque per enfatizzare l’elasticità dei corpi. Se teniamo poi presente che il pensiero scientifico occidentale ha utilizzato il latino come lingua veicolare fino al Seicento inoltrato, si può ben capire come questo termine sia giunto fino a noi.

E’ nel Settecento che qualcosa comincia a cambiare. Il significato di resilienza si appropinqua a passi lenti verso un livello più intimo che lascia da parte il moto dei corpi, per definire qualcosa di più profondo. Nel 2011, grazie ai social network, diventa la parola più pop degli ultimi anni. Con il termine moderno di resilienza, si definisce la capacità di sopravvivere ad un trauma e di reagire ad esso, con spirito ironico e propositivo, senza lasciarsi sopraffare dalla disperazione e da pensieri negativi.

Felicità

Vien da sé che utilizzare la resilienza come un atteggiamento positivo con cui affrontare i problemi della vita quotidiana e smettere di considerarla una semplice parola da hashtag, ci permette di cambiare completamente punto di vista sull’intera esistenza.

Dalla pubblicità, ai film, alle favole, siamo abituati inconsapevolmente a vedere la felicità come uno stato equilibrato, costante e casuale, che cade dal cielo quando gli eventi ci travolgono in modo positivo. Niente di più erroneo. Così come è sbagliato pensare che la felicità non esista. Prima di porci la grande domanda “che cosa è la felicità?”, proviamo a vedere cosa ne hanno capito gli studi scientifico-psicologici fatti finora.

Alcuni studi si sono interrogati proprio su questo ed hanno concluso che la felicità, intesa come uno stato di benessere dell’individuo, non dipende dall’età, dall’estrazione sociale o dal sesso ma dalla fiducia di sé stessi, dalla capacità di saper stare in comunità (e quindi anche da soli), dal senso di controllo sul proprio presente e la propria persona.

In psicologia, la felicità viene spesso metaforizzata come una casa in cui vivere. Non è qualcosa che accade, non è qualcosa che subiamo e non è qualcosa che dipende da altri: la felicità è una scelta quotidiana. La felicità è un mattone che ogni giorno aggiungiamo per la “casa” in cui viviamo da quando nasciamo fino alla fine. La felicità non dipende da un unico fattore o da un’altra persona o dal “ma perché succedono tutte a me?”. Se avete questo pensiero, chiedetevi se “succedono tutte a voi” proprio perché siete voi a comportarvi sempre nello stesso modo in situazioni diverse e quindi a generare, inconsapevolmente, il risultato infelice o insoddisfacente di cui tanto vi lamentate. Lo scrittore James Joyce diceva infatti: “La vita è come un’eco: se non ti piace quello che ti rimanda, devi cambiare il messaggio che invii”.

Come metterla in pratica

Ora che avete più chiaro cosa si intenda per resilienza e che cosa abbia a che vedere con la felicità ed il nostro benessere, non ci resta che capire come poterla mettere in pratica. In realtà, non c’è un vademecum da imparare. Avere un manuale su questo significherebbe avere le regole per raggiungere la felicità, cosa ovviamente irrealizzabile. Perché? Beh perché non esiste una felicità universale, contrariamente a quanto ci viene propinato, ma ognuno ha la sua idea di felicità.

Prima di tutto, una considerazione: bisognerebbe insegnare sin da subito ai bambini come affrontare le avversità, a non farsi perdere d’animo, che la tristezza è umana, il dolore passeggero (ma merita il suo spazio di elaborazione), che è sbagliato dire ai maschietti “gli ometti non piangono” o alle bambine “sei grande smettila di piangere” perché così inviamo il messaggio che un adulto è definito tale, se si tiene tutto dentro, soprattutto se di sesso maschile. Bisogna educare all’elaborazione del lutto qualunque esso sia, letterale o metaforico, ma per far questo occorre che gli adulti, per primi, inizino ad essere consapevoli ed onesti con loro stessi. Lo scrittore inglese Gilbert Chersterton disse: “Le fiabe non raccontano ai bambini che i draghi esistono. I bambini sanno già che i draghi esistono. Le fiabe raccontano ai bambini che i draghi possono essere uccisi”.

Un punto assoluto e univoco però possiamo darlo: la felicità e la gioia attraverso la resilienza, avviene solamente per individui equilibrati, profondi e profondamente risolti mentre per il resto sono solo pallide imitazioni/scuse, per non affrontare la realtà dei fatti o le verità che si cercano di evitare.

Quindi, in conclusione, possiamo dire che la felicità è una scelta e la resilienza è il mezzo per raggiungerla. La felicità è il mattone dopo mattone, la resilienza è la fabbrica di mattoni. La felicità usa la resilienza per insegnarci non a vedere il bicchiere mezzo vuoto… ma a farci notare cosa ci sia oltre a quel misero bicchiere.

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  • Russ Harris, “La trappola della felicità. Come smettere di tormentarsi e iniziare a vivere”

Perché siamo prigionieri della “trappola della felicità”, un circolo vizioso che ci spinge a dedicare il nostro tempo, la nostra energia, la nostra vita, a una battaglia persa in partenza: quella contro i pensieri e le emozioni negative. Russ Harris ci conduce alla scoperta della nostra personale trappola della felicità, guidandoci a prendere coscienza dei meccanismi mentali che ci tengono prigionieri facendoci ostinare a perseguire chimere impossibili.

  • Alessandro Cozzolino, “Esercizi di felicità. Allenare il cuore e la mente a essere felici”

La felicità è come un muscolo: necessita solo di allenamento. Per farlo occorre capire il senso di esperienze ed emozioni negative come il fallimento e la cattiveria e sfruttarle a nostro favore; coltivare l’autostima e il sano egoismo ma tenere a bada l'”egomostro” che ci rende invidiosi e violenti. Alessandro Cozzolino distilla un manuale che ha un pregio e un difetto. Il pregio: ci accompagna come un vero personal trainer allenandoci a rimettere in forma la nostra anima. Il difetto: non ci lascia alcun alibi.

Scritto da Claudia D'Agostino

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