Presentato a Roma il debutto del regista Pippo Mezzapesa, il film Il paese delle spose infelici.
La recensione in anteprima su Blogosfere Spettacoli
Il paese delle spose infelici, secondo film italiano in concorso al Festival Internazionale del Film di Roma, ci mostra come un soggetto che sta forse diventanto un archetipo del cinema nostrano, ovvero l’età dell’adolescenza e le difficoltà della crescita in un ambiente rurale del Sud profondo, possa essere trattato con competenza e personalità.
Il contrasto, come può comprendere chi ha seguito il Festival, è con Il mio domani di Marina Spada, che si rifaceva massicciamente alle opere di Antonioni senza però inserirvi la linfa vitale necessaria a costruire un organismo ben sviluppato quale è un’opera cinematografica.
Il film di Pippo Mezzapesa, regista con una certa esperienza alle spalle (ha partecipato anche al Nocicortinfestival di cui vi avevamo parlato questa estate) ma al suo debutto per quanto riguarda il lungometraggio di finzione, ha ricordato in più punti Io non ho paura di Gabriele Salvatores e Ruggine di Gaglianone, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, grazie alla delicatezza e alla sensibilità con cui tratta il tema della gioventù
Certo, qualche piccola imperfezione in fase di sceneggiatura rende la parte centrale della pellicola un po’ farraginosa, ma nel complesso si può dire che la riduzione cinematografica del romanzo omonimo è ben riuscita: non si sottovaluti infatti la difficoltà di rendere naturali i dialoghi e la recitazione di attori bambini, ovviamente non professionisti (prova ne è stata la timidezza estrema dei due protagonisti in sede di conferenza stampa, durante la quale non sono riusciti a spiccicare parola).
In questo senso il regista ha fatto un grande lavoro, così come è stata eccellente la gestione della sezione tecnica, con riprese che, per quanto forse pecchino a volte di leziosità e di eccessivo sfoggio di perizia, fanno piacevolmente sentire la presenza della macchina da presa quale mezzo per entrare all’interno della vicenda raccontata. Si aggiunge al bilancio positivo l’ottima fotografia, che sottolinea una natura partecipe ma al contempo scabra e rigogliosa, e le musiche che, molto intelligentemente, passano dai successi di Non è la rai fino ad arrivare agli archi di Balanescu.
La storia dell’amicizia tra Zaza e Veleno si divide tra il campo da calcio – portato sullo schermo con una sensibilità simile a quella con la quale Pasolini guardava ai suoi ragazzi di vita – e la silente rivalità nel rapporto con la sposa infelice del titolo. Il film infatti racconta di quell’età in cui iniziano a decidersi i destini dei ragazzi protagonisti: tema centrale è la scelta della strada da intraprendere nela propria vita, nonché la difficoltà di diventare uomini in un mondo in cui gli adulti non sono degni di fiducia, per di più amorfo e pericoloso come quello degli anni 90.
Un sorprendente esordio di un regista di cui attendiamo con interesse la prossima opera, magari con un soggetto originale che ne riveli tutte le potenzialità inespresse.