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Nel dibattito su come rendere l’italiano una lingua più inclusiva, cercando di rivedere il predominio legato soprattutto al genere maschile e per un linguaggio che rappresenti anche le donne gli appartenenti alla comunità lgbtq+, è arrivata una possibile soluzione.
Questa prevede l’utilizzo di un particolare simbolo, lo schwa, ma scopriamo meglio cos’è e come si pronuncia.
Lo schwa, detto anche scevà, è un carattere dell’Alfabeto Fonetico Internazionale (IPA), il sistema riconosciuto a livello internazionale per definire la corretta pronuncia delle migliaia di lingue scritte che esistono nel mondo. Lo schwa è già molto utilizzato da alcune lingue, mentre altre, come l’italiano, non lo ritrovano nel proprio alfabeto.
Si tratta di una lettera che l’IPA inserisce nel mezzo di tutto il sistema di vocali, infatti la sua pronuncia è un suono indefinito, che assomiglia all’insieme di a, e, i, o, u.
Il simbolo che definisce lo schwa è “Ə”, simile a una “e” rovesciata, ma può ricordare anche il carattere “a” in stampatello. La storia dello schwa è molto antica: sembra comparire già intorno al secolo X d.C, nella lingua ebraica medievale parlata, usata specialmente dagli eruditi.
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Ma è stato Johann Andreas Schmeller, un linguista tedesco, a recuperare questo carattere nel 1821 per dare un simbolo e una pronuncia a una lettera molto breve del tedesco bavarese. Fu lui per primo a inventare il simbolo che conosciamo oggi per lo schwa.
Chiarito cos’è lo schwa, bisogna analizzarne gli aspetti pratici. Scrivere questo carattere con la tastiera del proprio smartphone è molto semplice: lo schwa comparirà tra le opzioni come succede oggi per le lettere accentate o per i caratteri speciali.
Per selezionarlo, basterà tenere premuta la lettera “e” sulla tastiera e compariranno tutte le varianti della lettera, tra cui, appunto, anche lo schwa.
Dal momento che lo schwa si trova in posizione intermedia a tutte le vocali, anche la pronuncia deve rappresentare l’insieme di tutte le vocali. Si pronuncia infatti tenendo la bocca rilassata, senza chiudere le labbra in modo particolare, ma lasciandole semiaperte, con un suono breve. In questo modo si realizza un suono tipico del linguaggio inglese, dove infatti è molto diffuso.
L’inglese è per l’appunto la lingua con l’uso più frequente della Ə, che si utilizza per pronunciare praticamente tutte le vocali a seconda della parola in cui sono inserite. Può sostituire la e, ad esempio nella desinenza “er”, la “i”, la “a”, la “o”, la “u” e anche la “y”, ogni volta che è necessario pronunciare un suono breve e meno definito.
Per quanto riguarda la lingua italiana, lo schwa, seppur non inclusa nell’alfabeto, viene largamente utilizzata nelle forme dialettali.
Soprattutto nel dialetto napoletano, nel quale molte parole presentano un suono poco definito e breve, che non si traduce con una vocale in particolare. Così anche dialetti dell’Italia centro-meridionale che si collegano al napoletano. Nell’Italia settentrionale si sente meno lo scevà, anche se si può ritrovare ad esempio nel piemontese, dialetto di origine gallo-italico.
Proprio riguardo all’italiano, lingua in cui non esiste il genere neutro e si ricorre spesso al maschile per le pluralità, è in corso una discussione o meno sull’adozione di questo simbolo.
La nostra lingua è abituata da sempre a definire i termini collettivi e le pluralità miste contenenti uomini e donne, con il plurale maschile. Lo stesso vale per le professioni declinate sempre al maschile e la discussione sul linguaggio di genere. Sotto suggerimento di diversi attivisti, linguisti e studiosi degli ultimi anni, tra cui uno dei primi è stato Luca Boschetto, si considera oggi l’idea di utilizzare lo schwa, almeno inizialmente nella lingua scritta, al posto della vocale finale che definisce un genere.
La ragione per cui chi promuove un utilizzo più inclusivo in italiano propone di utilizzare lo schwa prende spunto sia dall’uso che se ne fa oggi, nell’ambito dell’alfabeto fonetico internazionale, sia nel suo passato da convenzione grafica. C’è un’altra ragione, più intuitiva, presentata proprio da Luca Boschetto:
Lo schwa «graficamente assomiglia ad una forma intermedia tra una “a” e una “o”, cioè le due vocali con cui in italiano identifichiamo con maggiore frequenza il genere femminile e quello maschile.
Per i sostenitori di questa soluzione, infatti, per cambiare il linguaggio e la cultura, è necessario che più persone utilizzino una parola o un’espressione. Bisognerebbe iniziare a scrivere lo schwa nei posti dove le persone, dai più ai meno giovani, scrivono e parlano oggi di più, ovvero i social. Solamente così si potrebbe portare l’italiano ad essere una lingua più inclusiva e a risolvere il problema della predominanza del maschile.