La fiction su Giovanni Falcone (seppur superficiale) e Che tempo che fa di Fabio Fazio hanno dato ossigeno agli ascolti della RAI.
Potremmo anche aggiungere l'esordio di Report, che ha battuto l'insulso Reality Circus di Barbara D'Urso (forse giunto al capolinea, ma lo sapremo solo giovedì mattina).
Sono risultati importanti, che lanciano un messaggio ben chiaro: il pubblico, dopo la scorpacciata di reality e di programmi leggeri o demenziali, ha bisogno di tornare a vedere in tv qualcosa di più serio ma, soprattutto, di qualità.
Per questo si rifugia in un'isola felice di nome Che tempo che fa, per questo ama le inchieste di Report, per questo preferisce Giovanni Falcone alla solita fiction sui poliziotti eroi (a questo proposito è indicativo anche il successo dello scorretto Ispettore Coliandro), per questo preferisce la serialità americana a quella italiana.
Ormai siamo ad un punto di svolta, tutti sanno che i reality sono agli sgoccioli; il miraggio della redditizia tv a basso costo è finito.
Di fronte a noi abbiamo due strade: quella del rinnovamento dei reality, che porterebbe ad una evoluzione dei format in stile La Pupa e il Secchione e quella del deciso cambio di rotta, che potrebbe condurci ad una vera evoluzione della tv generalista: più trasmissioni d'inchiesta, più intrattenimento intelligente (in stile Fazio, Bignardi ma anche Chiambretti), maggior attenzione alla realtà che ci circonda (da questo punto di vista sono in cantiere tante fiction potenzialmente interessanti) una maggior qualità della serialità (per ora non possiamo che importare quella statunitense).
Quella che stiamo vivendo è una stagione televisiva cruciale: i tanti flop (Amadeus, D'Urso, Parietti, Bonolis) e i continui cambiamenti di palinsesto per arginare le ferite sono lì a provarlo.
Qualcosa è cambiato, è necessario correre ai ripari.