Argomenti trattati
Da ““slut” (“t**ia”) e “walk” (“camminata”), le Slutwalk sono le proteste di strada nate con l’obiettivo di opporsi al controllo maschilista sulla sessualità femminile.
Sono una sorta di sorellanza che porta le donne a unirsi per rivendicare i propri diritti ribadendo le loro autodeterminazione e indipendenza. La storia delle Slutwalk inizia nel 2011.
Proteste di strada che vogliono demolire la cultura maschilista, si scagliano contro la rape culture, ossia slut-shaming, victim-blaming, reificazione della donna e atteggiamenti paternalistici. Insomma, le donne devono essere libere di autodeterminarsi in ogni aspetto, devono, ad esempio, potersi vestire come meglio credono senza per questo essere vittime di violenza.
La crasi originata da “slut” (“t**ia”) e “walk” (“camminata”) dà origine alle Slutwalk, tutte quelle proteste di strada sorte per opporsi al controllo maschile sulla sessualità femminile che si sono ormai diffuse in tutto il mondo. Lo scopo comune è quello di combattere quella cultura dello stupro che vede la donna come complice del carnefice e che normalizza quindi di fatto ogni violenza sessuale. L’oggettivazione della donna e l’accettazione di stereotipi come l’aggressività maschile portano ogni giorno a colpevolizzare le vittime di stupro e a giustificare la violenza con frasi come “se l’è andata a cercare” o “chissà quanto aveva bevuto”, ecc.
Capisaldi della rape culture incarnati in parte anche dal video di Beppe Grillo che non fanno altro che peggiorare lo stato mentale di una vittima.
L’episodio che portò alla nascita delle slutwalk ebbe origine a Toronto, all’Università di York, il 24 gennaio 2011. In quell’occasione il poliziotto Michael Sanguinetti, rivolgendosi al gruppo di studenti trattanto il tema della prevenzione della criminalità, ha dichiarato, come si legge sul Time, che:
[so che non dovrei dirlo, ma] le donne dovrebbero evitare di vestirsi come t**ie se non vogliono essere vittime di violenza.
Questa frase, intrisa di cultura misogina e sessista, ha scatenato le ire di oltre 3.000 persone che si sono riunite il 3 aprile dello stesso anno per recarsi alla Questura di Toronto e dare avvio alla prima “Slutwalk”, chiamata proprio così per ribaltare l’iniziale termine dispregiativo “slut”. Da Toronto, il movimento si è diffuso in tutto il mondo interessando Stati Uniti, Europa, Asia e Africa con il comune obiettivo di ribadire che la colpa non può e non deve ricadere sulle vittime di violenza.
Le proteste si sono riversate nelle strade con slogan come «My Dress Is Not a Yes», «Walk of No Shame», «Slut Pride» e affini, per ricordare come non esista una distinzione tra brave ragazze e cattive ragazze dove queste ultime siano degne di meno rispetto.
Il movimento delle slutwalk di Toronto è diventato sempre più inclusivo. In questo primo decennio di proteste non hanno manifestato solo donne bianche ma anche donne di colore, persone transgender e queer, comunità LGBTQI+, survivor, sex worker e uomini.
Oggi questo genere di proteste può quindi rientrare pienamente tra le fila del femminismo intersezionale: la branca del femminismo che lotta per distruggere sia le oppressioni di genere ma anche quelle politiche, sociali, culturali e che si schiera a favore di tutte le minoranze: donne, transessuali, lesbiche, disabili, nere. In dieci anni ci sono stati alcuni cambiamenti nelle modalità: l’organizzazione di solito avviene attraverso i social e, contemporaneamente alla marcia fisica, la lotta avviene tramite conferenze, manifesti, scritti e podcast.
Sono cambiati i mezzi e i modi di scendere in strada ma lo spirito è sempre quello di Toronto del 2011.
Leggi anche: Violenza sulle donne nel 2020: i dati non sono incoraggianti