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La Cina torna a far preoccupare le potenze occidentali per l’ennesima deroga ai diritti umani denunciata stavolta dal New York Times.
Lo Xinjiang è una regione nel Nord-Ovest del Paese ormai “popolare” per i numerosi servizi che testimoniano l’ostacolato popolo degli Uiguri che lì risiede. Si pensi ai campi di “rieducazione”, da molti definiti campi di lavoro forzato, luogo di destinazione di moltissimi Uiguri. La recente inchiesta del giornale americano rivela che il governo cinese stia attuando una campagna per controllare i diritti riproduttivi delle donne musulmane.
Di Xinjiang se ne è già sentito parlare. Ancora una volta, trapelano notizie relative alla discriminazione della minoranza musulmana e turcofona degli Uiguri. Pare che le Uigure, le donne, e gli uomini, di origini Kazake, e le Uzbeke vengano spinti in “maniera coatta” a usare contraccettivi come la spirale o a subire interventi di sterilizzazione. Cosa hanno in comune le donne e gli uomini a cui spetta osservare le direttive dall’alto? L’appartenenza religiosa, si tratta infatti di musulmani residenti nello Xinjiang.
La “politica” trapelata dall’inchiesta rivela una serie di azioni ripetute e ormai diventate sistematiche che comportano la drastica riduzione nella scelta di portare avanti gravidanze. Per esempio, accade che se le donne in questione hanno troppi figli o rifiutano le procedure contraccettive previste per loro, incorrono a multe salate oppure perfino detenzione in uno dei campi. Le testimonianze parlano anche di farmaci somministrati per bloccare il ciclo mestruale e, in alcuni casi, di stupri.
Pechino, in pronta risposta, sostiene che in realtà il calo delle nascite effettivamente registratosi presso la popolazione degli Uiguri non ha nulla a che vedere con un qualsivoglia piano programmatico. Anzi, sostiene sia un effetto indiretto dei processi di educazione. Secondo il governo di Pechino, è naturale avvenga un processo di emancipazione della donna musulmana che la porti a distogliere i sui piani futura dal continuare a fare figli.
Tuttavia, fra le testimonianze raccolte nell’inchiesta del Nyt emergono quelle di donne che smentirebbero quanto dichiarato dal governo di Pechino. Alcune donne ricevevano, tramite We Chat, diretta esortazione da parte dei funzionari governativi a sottoporsi a specifici controlli. Non meraviglia certo il fatto che i funzionari governativi di uno stato fortemente accentrato come la Cina entrino con tale invadenza nella vita privata delle persone. A stupire piuttosto è quello che potrebbe derivare da questo complesso di azioni “politiche”: un ulteriore ostacolo alla dignità degli Uiguri e alla loro diretta sopravvivenza nella regione dello Xinjiang.
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