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“Cantanti di tutto il mondo, unitevi!”: si aprirebbe così il Manifesto in rappresentanza delle rimostranze degli artisti che, schiacciati ormai da un mercato online della musica sempre più ingombrante, non riescono a garantirsi dei guadagni diretti cospicui dalle canzoni che vengono riprodotte milioni di volte sulle piattaforme streaming – spesso con l’ausilio di VPN Italia per evitare cattive sorprese. Quali sono i meccanismi che ci sono dietro? Scopriamolo insieme
Il mondo dello streaming ha cambiato le scelte industriali della discografia – che fino allo scorso decennio guardava alla vendita dei cd come principale opportunità di guadagno di un cantante: ora tocca invece contare il numero di riproduzioni, appoggiandosi poi ai coefficienti di conversione che ognuna delle piattaforme corrisponde agli artisti. Tutto parte da una considerazione: per ritenere valido uno stream ai fini del pagamento, il brano deve essere riprodotto per almeno 30 secondi. A quel punto poi, si passa all’incasso: il più “generoso” con gli artisti che performano sulla loro piattaforma è Apple Music, che fa guadagnare 0.009 euro per ogni streaming – ne servono 112 per raccogliere un euro – mentre quella meno generosa è YouTube (Official Artist Channel): le visualizzazione spesso schizzano in alto, ma per raggiungere la soglia di un euro tocca fare ben 667 stream – 0.0015 euro per ogni ascolto di almeno 30 secondi.
Non è tutto oro quel che luccica, ossia non tutto quel guadagno potenziale finisce nelle tasche degli artisti. Anzi: una volta raggiunta la quota necessaria per incassare un euro, quella cifra non finisce nelle tasche dell’artista. Le piattaforme “splittano” in percentuale quel guadagno, cedendo alla casa discografica o a chi detiene i diritti della canzone una parte dell’incasso dagli stream. Anche in questo caso, essendo aziende private, le varie piattaforme fanno una divisione soggettiva di tale ammontare: nel caso di Apple Music ad esempio, all’artista viene corrisposto il 52% di quanto raccolto. Percentuali simili invece sia per Amazon Music che per Spotify, che trattengono il 30% e pagano il restante 70% all’artista – che tuttavia dovrà poi fare altri conti e altre divisioni (banalmente retribuendo la casa discografica, il produttore, gli autori della canzone e non solo l’interprete). Tutto questo per fare una premessa necessaria prima di guardare ai “guadagni”, quantomeno figurati, delle singole canzoni da Spotify nei primi mesi del 2023.
Fatte dunque tutte le premesse e analizzato nel dettaglio la divisione delle quote che le varie piattaforme streaming riescono a garantire ai vari cantanti, ci siamo divertiti a disegnare la classifica delle canzoni “più ricche” della prima metà del 2023 – con riferimento ai soli singoli italiani e ricordando sempre che, quelle cifre, poi vanno divise e frazionate ulteriormente per tutta la “catena” di persone che ha lavorato alla realizzazione della singola canzone. Ecco dunque la top-10 e i relativi “incassi” su Spotify:
Se sul palco del Festival quindi il giovane cantante milanese si è dovuto arrendere contro Mengoni, Lazza è riuscito parzialmente a togliersi una bella soddisfazione vincendo quella che è la battaglia dello streaming – in un eterno testa a testa dettato da un contatore che non smette mai di aggiornarsi, almeno fino al prossimo Festival di Sanremo e alla prossima infornata di canzoni che porteranno alla ribalta nuovi protagonisti.