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Trilussa e l’emergenza legata al Coronavirus non hanno nulla in comune, almeno all’apparenza. Il poeta romano è scomparso quasi 70 anni fa, per cui non avrebbe mai potuto prevedere l’arrivo di un virus tanto terribile. Eppure, la sua famosa poesia “La stretta di mano” sembra raccontare per filo e per segno quello che milioni di persone stanno vivendo.
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La stretta di mano di Trilussa
Da quando il Coronavirus è entrato prepotentemente nelle nostre vite, non facciamo altro che lavarci le mani ed evitare il contatto con gli altri. Fin dai primissimi giorni, infatti, il Ministero della Salute è stato chiaro: le mani sono il maggiore ‘veicolo’ di contagio. Per questo motivo è opportuno lavarle bene. Ovviamente, le strette di mano e gli abbracci sono banditi. Insomma, il contatto fisico deve essere ridotto al minimo, anche con le persone che vivono sotto il nostro stesso tetto. Per il momento, non esiste un vaccino contro il Coronavirus ma ci sono tantissimi ricercatori che stanno facendo il possibile per debellarlo. Ad oggi, l’unica cosa che tutti possiamo fare per limitare il contagio è non uscire di casa se non per motivi strettamente necessari. In tutto ciò, cosa c’entra Trilussa con il Covid19? All’apparenza nulla, visto che il poeta romano è morto il 21 dicembre del 1950. Eppure, Carlo Alberto Camillo Mariano Salustri è autore di una poesia che sembra calzare a pennello per questo strano periodo. Il titolo è “La stretta de mano” ed è contenuta all’interno della raccolta “Libro n.9 Le cose. La gente” pubblicato nel 1929. Trilussa, ovviamente, non si riferisce ai timori che oggi, a causa del Coronavirus, abbiamo tutti. La stretta di mano, quel gesto tanto italiano al quale dedica i suoi versi vuole essere una specie di parodia satirica del pensiero fascista. Carlo Alberto Camillo Mariano Salustri era un antifascista più che convinto e “La stretta de mano” non va assolutamente letta come un elogio al saluto romano.
La stretta de mano
Quela de da’ la mano a chissesia
nun è certo un’usanza troppo bella:
te pô succede ch’hai da strigne quella
d’un ladro, d’un ruffiano o d’una spia
Deppiù la mano, asciutta o sudarella,
quanno ha toccato quarche porcheria,
contiè er bacillo d’una malatia
che t’entra in bocca e va ne le budella
Invece, a salutà romanamente,
ce se guadagna un tanto co’ l’iggene
eppoi nun c’è pericolo de gnente
Perché la mossa te viè a di’ in sostanza:
Semo amiconi… se volemo bene…
ma restamo a una debbita distanza.