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Viviamo in un paese che tra le tante cose belle che offre, ne ha di brutte. Tra queste indubbiamente la mafia, organizzazione criminale che si basa principalmente su violenza e omertà. Per riuscire a combatterla è necessario quindi avere il coraggio di dire basta, come fecero i grandi magistrati siciliani Paolo Borsellino e Giovanni Falcone che hanno perso la loro vita in questa battaglia. Ma prima ancora, è importante conoscere la storia e chiedersi quindi chi fa parte della mafia e come questa agisce per capire poi come combatterla. Vediamo quindi la storia di Totò Riina, uno dei più grandi boss mafiosi della storia.
Chi era Totò Riina
Salvatore Riina, detto Totò (Corleone, 16 novembre 1930 – Parma, 17 novembre 2017), è stato un criminale italiano, boss di Cosa Nostra dal 1982 fino al suo arresto nel 1993. Cresce in una famiglia di contadini e deve affrontare precocemente il lutto del padre. L’assenza di una figura paterna lo porta ad avvicinarsi al mafioso Luciano Liggio con il quale iniziano i furti.
A soli 19 anni arriva la prima condanna: 12 anni per aver ucciso in un coetaneo durante una rissa. Sconta parzialmente la pena per essere scarcerato nel 1956 e riprendere il furto di bestiami seguito da macellazione clandestina. Quando Liggio decide di eliminare Michele Navarro, il suo capo, scoppia una guerra con gli uomini di quest ultimo. Quando la polizia interviene Riina viene catturato e inizia il suo secondo processo che dopo alcuni anni di carcere si interrompe per assenza di prove.
Gli anni dei conflitti interni a Cosa Nostra
Nel 1969 Riina inizia a sostituire Liggio nel triumvirato dei boss insieme a Stefano Bontate e Gaetano Badalamenti. Per questo lo stesso anno è tra gli esecutori della strage di Viale Lazio che doveva punire il boss Michele Cavataio. In questi anni Cosa Nostra diventa sempre più presente nel mondo politico e imprenditoriale e si avvicina ai compagni camorristi napoletani e della ‘Ndrangheta calabrese.
Durante questi anni sono tanti gli eventi a scaturire continui conflitti interni, ma quando nel 1981 fa eliminare Giuseppe Panno, capo della cosca di Casteldaccia, Bontate e il boss Salvatore Inzerillo è la fine. Scoppia infatti la seconda guerra di mafia che porta alla morte di oltre 200 mafiosi coinvolti nelle diverse fazioni. Il massacro dura per due anni ma le ripercussioni sono minime grazie all’inserimento di suoi collaboratori in politica.
Con la seconda guerra di mafia i cucini Salvo della cosca Salemi decidono di schierarsi con i Corlonesi guidati da Riina con l’incarico di curare le relazioni con il referente politico Salvo Lima. L’obiettivo era quello di modificare in Cassazione la sentenza del Maxiprocesso che condannava Riina e altri colleghi all’ergastolo.
Le bombe del 1992-1993 e la condanna
La Cassazione però conferma gli ergastoli grazie all’attendibilità delle dichiarazioni di Tommaso Buscetta, ex mafioso pentito. La reazione del boss è prevedibile: fa uccidere i collaboratori politici Lima e Ignazio Salvo. La cosa si ripercuote ovviamente anche su Tommaso Buscetta e gli altri pentiti che perdono tutti i familiari fino al 20º grado di parentela, compresi donne e bambini, per ordine appunto di Totò Riina.
Per terminare questa lunga scia di stragi il vicecomandante dei Ros, Mario Mori, propone una trattativa che si conclude con la richiesta di Riina della completa revisione del maxiprocesso. Nonostante la collaborazione dello stato tra il 1992 e 1993 è mandatario delle stragi di Capaci e di via D’Amelio. Grazie alle confessioni di Balduccio Di Maggio però, riescono a a trovare il covo del grande boss di Cosa Nostra e ad arrestarlo quindi il 15 gennaio 1993.