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Tutti i sospetti sulle benzodiazepine nel latte di Diana sono riassumibili in uno scenario che la Procura di Milano sta componendo mentre indaga sulla 36enne: Alessia Pifferi di sua figlia, una figlia mai desiderata, non ha premeditato la morte ma si aspetta il tossicologico per capire se ne abbia messo in cantiere il silenzio per poter effettuare con “tranquillità” le sue uscite.
Lo conferma indirettamente anche il gip Fabrizio Filice: “Il quadro potrebbe decisamente cambiare se dall’indagine autoptica risultasse che la madre aveva somministrato alla bambina il farmaco alle benzodiazepine rinvenuto presso l’abitazione, e che invece l’indagata, sino a ora, ha sempre negato di avere mai dato alla figlia”.
Insomma, l’attività investigativa che da domani, lunedì 25 luglio, prenderà ancor più corpo, potrebbe portare alla luce nuovi ed eclatanti elementi.
Da un lato infatti c’è Alessia Pifferi, in carcere a San Vittore per aver lasciato morire di sete e stenti la figlia di 18 mesi, dall’altro ci sono gli ansiolitici usati come “polizza di assicurazione” evitare che il pianto disperato di una bambina affamata e in sofferenza mettesse in allarme i vicini e “rovinasse” i week end di talamo dell’indagata.
E il presunto giallo delle benzodiazepine ha due direttrici esposte molto bene dal Corsera: “Gli investigatori non hanno trovato alcuna ricetta per il contenitore di En che la donna aveva in casa né hanno rintracciato il misterioso uomo che a suo dire gliele avrebbe lasciate nell’appartamento durante i tre giorni in cui ha dormito con lei in via Parea.
In ogni caso il quantitativo trovato nel flacone sarebbe troppo poco per un uso limitato a soli tre giorni. C’era infatti un quarto di liquido”.