Lo so che non dovrei occuparmene perché in realtà l’argomento riguarda il cinema, ma siccome prevedo che presto in Tv saremo sommersi da servizi televisivi, interviste e ospitate varie che riguardano l’imminente uscita (18 novembre) del film Melissa P, ho deciso di giocare d’anticipo e riproporvi la fantastica autointervista che Melissa P. – autrice di Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire – ha rilasciato qualche mese fa al mensile Max.
Il pezzo è lungo, ma potrete suddividere tranquillamente la lettura in più momenti della giornata: tanto non c’è filo logico da seguire…
Perdonatemi inoltre se mi sono permesso di inserire, in corsivo, i miei commenti alle sue affermazioni.
P.S.
Il saggio profeta di “Tele dico io” afferma che subito dopo l’uscita del film vedrete in Tv (si sbilancia… dice anche che sarà Vespa ad occuparsene per primo) scontri all’ultimo sangue tra Melissa P. e la produttrice Francesca Neri, già accusata dalla scrittrice di aver stravolto la trama. Ed il botteghino, ovviamente, avrà solo da guadagnarci.
Stavolta parlo di me, come pare e piace a me (o mio Dio, mi sembra che tu lo abbia già fatto in abbondanza, sei sicura di volerlo fare? Sappiamo cosa ti piace… non vorrei… vabbè dai, alla fine sono pur sempre un uomo, ti ascolto volentieri) . Mi elogerò, mi abbellirò, farò di me una figura quasi sacra (quasi sacra? in che senso quasi? Detto così mi viene in mente una mucca indiana). Lo farò perché io non sono una persona umile (ma dai?), né tantomeno pudica (ascolta Melissa, fermati qui… è un consiglio spassionato. Consegna a Max questa parte e passa ad altro, non so, scrivi dell’odore del tuo respiro…no … no… ferma, mi sa che mi ha preso sul serio). Ma non sarò arrogante quanto quelli che si autointervistano (calcolando la sua giovane età, ed il tempo dedicato alle attività circensi, quante autointerviste potrà mai aver letto per poterne dare un giudizio così categorico?), no, sarò ancora più arrogante: traccerò un profilo di Melissa P. solo come Melissa Panarello può fare (o cavolo, e chi è ‘sta Panarello? Mamma quanto sono ignorante …aspetta che spulcio un po’ l’enciclopedia degli autori della Utet. Vediamo …Palazzeschi …Pancrazi…Panzini…non c’è ‘sta Panarello: non è che ha detto Panariello ed io non ho capito vero? ). Sì, io mi chiamo Melissa Panarello (ops, scusa, a guardare bene la vedo… ecco, ecco trovata Panarello … era sotto P., scusa). Qualcuno mi conosce come Melissa P. , ma fra una P. monca e il mio cognome ci passa poco (cosa vuol dire? Allora anche tra una F. monca ed il mio cognome passa poco… aspetta che questa me la segno…). Chiamatemi Melissa e basta.(vabbè allora voi chiamatemi pure Matteo). Al momento, mentre scrivo, ho 19 anni (alla fine del pezzo, quando avrà smesso di scrivere, ne avrà 20). Ne compirò 20 il 3 dicembre (appunto) e, ve lo dico fin da adesso, odio le feste a sorpresa (bella quest’autointervista, ogni tanto esce dal tracciato, ma alla fine merita): quindi non spuntate a casa mia senza essere invitati (1 non so dove abiti 2 nessuno ci aveva pensato, vedi che te le tiri proprio addosso però… ).
Quando ho scritto il mio primo romanzo, avevo nove anni (ed è incredibile la maturazione “artistica” che hai avuto da allora). Non l'ho mai pubblicato perché a nove anni nemmeno sapevo che esistessero le case editrici (però adesso lo sai, ti prego faccelo leggere. No, aspetta un attimo, di cosa parla?). A 16 anni, però, lo sapevo (e qui si vede che sei precoce, è la scoperta delle case editrici che ti ha traviata, lo sapevo… Galeotto fu il libro…). Così ho scritto 100 colpi di spazzola prima di andare a dormire (in che senso, allora lo scrivevi prima di andare a dormire… a noi hai detto che facevi altro…) e l'ho proposto a varie case editrici. Una di queste, Fazi Editore, ha deciso di pubblicare il mio scritto (e perché le altre hanno rifiutato?). Poco meno di un anno dopo mi sono ritrovata a camminare per strada a Catania e a essere indicata dalla gente (strano, chissà perché la indicavano, a Catania, dopo aver letto il libro. Ma cosa ti dicevano? Ops, scusa…continua pure…) Entravo nelle edicole e vedevo il mio nome sui giornali (vabbè però allora il nome era ancora una P. monca, eri tranquilla). Alcune riviste riportavano la mia foto in prima pagina (e no, allora a cosa serviva la P monca). Accendevo la tv e vedevo la mia faccia, sentivo la mia voce (tutto in diretta ovviamente). Accendevo il telefonino e venivo ricoperta da centinaia di telefonate del mio ufficio stampa (secondo me anche degli ex un po’ incazzati). Non che non fossi contenta, intendiamoci, ma non ho mai pensato di misurare il mio successo in base alle interviste che rilasciavo, alle comparsate televisive o alle foto pubblicate. Sapevo, ho sempre saputo, che il successo è qualcosa che va ben oltre la popolarità. (e tanti italiani te lo hanno dato, questo successo)
Il mio successo erano quei lettori che credevano in me e mi mandavano lettere accorate spesso esagerate, ma mai finte (mi astengo perché è troppo facile fare dell’ironia, ma vogliamo vedere quelle lettere pubblicate da Fazi). Non tantissimi, ma più di quelli che potete immaginare. Poi, a un certo punto, l'Italia si è rimpicciolita (o capperi) ed è diventata una piccola tessera di un enorme mosaico, un mosaico costituito dai 40 Paesi che hanno creduto in me e nel mio libro (Gandhi è tra noi, ma l’hanno già avvertito che ora ha a disposizione anche la Telecom per comunicare). Quando vivevo ad Acicastello, non avevo idea che il mondo fosse così vasto (ma quando, ai tempi del romanzo di nove anni o a sedici?). Non arrivavo mai a contare 40 Paesi (ah, vabbè, parli di quando hai imparato a contare con le dita… allora è giusto, anche io arrivavo solo fino a dieci e poi mi perdevo). Ho cominciato a viaggiare, e tanto. Ho toccato quasi tutti i paesi dell'Europa, sono finita in un improbabile (non capisco perché improbabile, forse faceva scena: un fronzolo qui e uno là) sud-America tutta nebbia e colori, (come la pista d’atterraggio di Milano Malpensa) poi sono stata catapultata dall'altra parte dell'emisfero: il Giappone. «Che fortuna che hai, tu, a viaggiare così tanto», cinguettavano i miei parenti e i miei amici. Quando dicevano così avrei voluto picchiarli (porca peppa, addirittura, poveri uccellini), ma mi limitavo a urlare: «Ma che ne sapete? Credete sia bello stare per una settimana a Santiago e riuscire a vedere solo la tua stanza d'albergo, la hall e il cesso (ma di una settimana a Santiago proprio nient’altro ti è rimasto in mente?)? Credete sia bello svegliarsi alle 8 del mattino e fare 15 interviste al giorno, rispondere alle stesse domande, dare le stesse risposte? (vabbè, se cambi ogni tanto non succede nulla…)». «Penso di sì», rispondevano. E avevano ragione. Presa dalla stanchezza e dalla confusione del momento, non mi accorgevo delle cose belle che mi stavano capitando (già, non capiva, perché in realtà dentro sé esisteva solo una gran voglia di tornare ad Acitrezza – no scusate, quando m’immagino Melissa mi vagano in testa sempre delle immense verghe.. e poi faccio questi grossolani errori: volevo dire Acicastello) Sarei potuta anche andare sulla luna con Marlon Brando (ma quale? Quel ciccione della Telecom amico di Gandhi? No perché guarda che solo il carico di spesa da portare sulla luna per il periodo di permanenza si aggira sui 40 sacchetti biodegradabili, per un solo weekend: e poi si biodegradabilizzeranno sulla luna? Comunque pace all’anima sua, ma chissà come avrà reagito lassù sentendosi invitato dalla Panarello alla gita lunare) e lamentarmi dopo, a gita finita. Perché io sono così, mi faccio scivolare le cose addosso (e anche qui mi astengo perché troppo facilitato). Di unni mi chiovi, mi sciddica, diciamo noi siculi. (cari trentatre trentini sono fatti vostri!!! Il detto non è spiegato) La visita in Giappone è stata l'esperienza più incredibile. La casa editrice giapponese (voglio una copia del libro in giapponese per vedere come traducono quei numeri da circo) mi aveva chiesto, qualche tempo prima, chi avrei voluto incontrare una volta a Tokyo «segnalaci qualche giapponese che ammiri», avevano detto.(Ken shiro, aveva risposto lei in prima battuta) E io ho sparato tutti i nomi che mi sono venuti in mente, (allora… visto che lo ammetti sii sincera fino in fondo: non avevi chiesto anche di Lamù?) perché esagerare non è mai peccato.(e lei ce lo ha insegnato egregiamente) Fra questi nomi ho inserito quello di Araki Nobujoshi, il grande fotografo erotico esperto di corde e pinze che tengono sospese fra cielo e terra splendide ragazze nipponiche.(per chi non lo conoscesse basti sapere che è un tamarro gaipponese in canotta esperto di corde … pinze… e gnocca) Ho incontrato Araki. Non mi sono fatta appendere al soffitto, però non ho fatto segreto delle mie tette (ti è mai successo di farlo?). Qualcuno ha detto che non appena ho visto Araki ho abbassato le mutande: falso, avevo il mestruo. Volevo evitargli questo spettacolo.(ecco, per una frase del genere mia figlia diciannovenne potrebbe rimanere in camera senza cibo fino al giorno del matrimonio) Araki è una forza della natura, mi ha fotografata fra i corvi e fra le rovine di Tokyo (dai! Cantiamo tutti insieme: foto… foto…foto…): lui ha un'ammirazione religiosa per la donna (è vero, è vero… ma perché tutti i fotografi che hanno a che fare con donne nude dicono così e quelle ci credono, mentre quando io lo dico a qualcuna questa mi dà del pervertito?) Lui è giapponese, ma potrebbe benissimo essere siciliano. (con questa massima io chiuderei il pezzo Melissa. No? vabbè allora fai come vuoi, prosegui. Ma quanda che rende il senso dell’autointervista…no vero? Vabbè.)
L'ultimo Paese che ho toccato è stato la Finlandia, ancora immobilizzata dal ghiaccio e dal vento (quello appena passato è stato un momento di pura poesia offerto dalla premiata ditta “Il Montale di Panarello”). Doveva arrivare una Melissa P. come me per risvegliare tutti dal letargo invernale.(ennesima astensione) Se vi state chiedendo come ho fatto a scrivere il mio nuovo romanzo, ho qui la risposta bella e pronta: in aereo, fra un viaggio e l'altro. Molti capitoli li ho scritti nella tratta Roma-Buenos Aires, molti altri nella tratta Roma-Tokyo Narita. (ma ti sei proprio impegnata e concentrata per partorire questo capolavoro.) Mi affacciavo dal finestrino e vedevo le stelle vicine, e sono state quelle stelle a suggerirmi le parole (il vicino di posto, nel suo vano ben riposto, fumava crack di nascosto). L'odore del tuo respiro non è un libro qualunque, è un libro nato dalle stelle e dai sogni.(come l’oroscopo e la smorfia) Non crediate che vi sto prendendo in giro (ma sì, dai che lo stai facendo), dico sul serio (ok, scusa, sei seria): è un libro che ho scritto prendendo spunto dai miei sogni. È un libro che gioca con il destino. (cosa vuol dire?) Tutti abbiamo almeno due destini: uno è quello che percorriamo, l'altro è quello che potremmo percorrere se non ne percorressimo già un altro.(Melissa Platone, gennaio 2005, rotta tra Roma a Buoenos Aires) Ebbene, questo secondo destino è quello che abita nei sogni. La protagonista si chiama Melissa. Perché? Perché, a parte il fatto che è un bellissimo nome, mi piace confondere la gente.(guarda, ma che confusione ci ha creato usando quel nome…) Nessuno si risparmierà l'aggettivo "autobiografico", nessuno si chiederà quale sia realtà e quale finzione: daranno per scontato che quella Melissa de «L'odore del tuo respiro» sia l'autrice stessa. È una storia che abbiamo già sentito, non è vero? (vabbè ma se ti fai tutte queste paranoie perché hai chiamato la protagonista Melissa? E poi sei stata tu a dire che quei centi colpi li avevi subiti veramente… che vuoi da noi?)
«L'odore del tuo respiro» è una storia di ossessione, di amore, di magia e di morte. Una storia con tantissima sensualità. (ma è la stessa sensualità di 100 colpi? Non perché quella ha commosso per intensità) È la mia storia, fino a un certo punto, e poi si trasforma nella storia di una donna ossessionata e avvelenata d'amore, una donna con straordinarie capacità visionarie, che sente addosso le tradizioni magiche e inquietanti della sua famiglia, e che è convinta che le donne malefiche si trasformino in libellule e vengano a rubarti i sogni di notte. (questa parte è venuta fuori sempre sull’aereo, sempre grazie al tizio che fumava crack. Anzi, ad essere sinceri ad un certo punto è stato proprio lui, tale Antonio Scatafascio, a gridare “Oddio le libellule malefiche mi stanno portando via i sogni”. Ne è nata l’ispirazione) È una storia nera, cupa e asfissiante, emotivamente simile a 100 colpi di spazzola, ma assai diversa per stile e contenuti. (vabbè ma allora che lo compro a fare? Io volevo sapere com’erano andati in questi anni gli altri 100 colpi) Fra quelle pagine troverete un'altra Melissa. Più adulta? Forse no: troverete una Melissa primitiva, animalesca, che vive cibandosi degli altri. (non comprendo; ma concordo) Sarà raccontata da una Melissa P. decisamente più adulta. Una Melissa P. che non ha alcuna intenzione di stupirvi, una Melissa P. che tenta solo di affascinarvi. (sono cotto di te, lo ammetto, non sono stupito, giuro… ma affascinato… però ti prego, non mandare questo pezzo, lascia stare… no… non schiacciare invia, almeno rileggilo prima che ci sono un po’ di errori di sintassi…anche i tempi verbali ogni tanto lasciano a desiderare…no …è andato. Max lo starà già leggendo)