Argomenti trattati
Vincenzo Muccioli, il cui nome è tornato in auge grazie alla docu-serie Netflix “SanPa”, è stato un imprenditore italiano, nonché fondatore della Comunità di San Patrignano.
Negli anni, sulla sua figura sono state dette molte cose e, talvolta, anche la sua omosessualità è finita al centro del chiacchiericcio. Pertanto, la domanda sorge spontanea: l’uomo, seppur sposato con una donna e padre di due figli, era gay?
Fondatore della Comunità di recupero di San Patrignano, nata nel 1978, Vincenzo Muccioli è una figura che, negli anni, è stata molto discussa. Qualcuno lo ha visto e continua a vederlo come un salvatore, mentre altri come un grande truffatore.
Al centro dell’attenzione mediatica, oltre che al suo lavoro, è finita anche la sua vita privata. Sposato con Maria Antonietta Cappelli dal 1962 e padre di due figli, Vincenzo è stato talvolta descritto come omosessuale. A distanza di anni, pertanto, la domanda che molti si pongono è una: Muccioli era davvero gay? La risposta, stando a quanto dichiarato dalla famiglia, sembra negativa.
A San Patrignano, per lo meno ai tempi di Muccioli, “non c’era completa libertà sessuale“: questo è quanto riportano alcuni testimoni nella docu-serie Netflix.
Vincenzo è descritto come un “gran misogino“, che vietava “storielline rosa” all’interno della sua comunità. Detto ciò, non si può assolutamente affermare con certezza che fosse gay. Tra l’altro, è bene sottolineare che la famiglia del fondatore di SanPa ha sempre smentito le voci riguardanti una sua presunta omosessualità.
Il fondatore di San Patrignano è morto il 19 settembre del 1995 nella sua villa di Rimini.
Ad oggi, non si conoscono le cause del decesso, ma è probabile che sia legato all’aggravarsi dell’Epatite C. All’epoca della sua scomparsa, infatti, il Corriere della Sera aveva scritto che la morte poteva essere legata alla sua positività all’Aids, contratta per aver trascorso molto tempo con ragazzi malati o sieropositivi.
“Aggravamento dovuto a un’epatite C, non sono dissipati i dubbi che avesse contratto l’AIDS per contagio da malati accolti nella comunità”, questo scriveva nel 1995 il Corriere della Sera.