Quando parliamo di violenza economica si parla di controllo da parte di un uomo, generalmente, del patrimonio economico della donna.
Il denaro, in questo modo, diventa strumento di potere che mira a ledere l’indipendenza della donna, e la mancanza di tale indipendenza è di solito il principale ostacolo che impedisce alle donne di ribellarsi a situazioni di violenza.
“Lascia il tuo lavoro e fai la mamma, al massimo mi aiuti in azienda”. Inizialmente potrebbe sembrare un gesto premuroso e invece spesso questa frase è l’anticamera di una storia di violenze.
Quando si parla di violenza non si pensa spesso a quella economica, se ne parla poco perché, come la violenza psicologica, non lascia segni evidenti. Alla base, c’è quasi sempre un uomo che controlla il patrimonio familiare e, di conseguenza, l’indipendenza della moglie. Non ci si fa caso, potrebbe sembrare una situazione comune, eppure dovremmo tener presente che l’indipendenza economica è la base di quella fisica e psicologica e, quando viene a mancare, viene lesa la dignità della persona.
La situazione che si ripete è la seguente. Il marito convince la moglie ad abbandonare il suo lavoro per stare a casa a “fare la mamma”, la donna così, arriva a perdere totalmente la sua indipendenza economica. L’uomo è l’unico della famiglia che controlla le operazioni bancarie e, con il passare del tempo, può essere poi che voglia verificare ogni singola spesa compiuta dalla moglie. Il denaro diventa un’arma per far sentire inferiori gli altri componenti della famiglia.
L’uomo ha tanto potere a sufficienza da sottomettere moglie e figli, che, per vivere, devono affidarsi esclusivamente a lui. A questo punto possono scattare le violenze e le minacce. Qualsiasi sopruso subito è seguito da frasi come “Taci che sono io a mantenerti”. La donna è ormai sottomessa e l’insicurezza provata fa sì che non abbia la forza di denunciare e di andarsene. C’è quel senso di dipendenza e di impotenza a convincerla a rimanere nella situazione creatasi tra le mura domestiche.
Il percorso che segue questo tipo di violenza è lento e dilatato nel tempo, e ciò fa sì che la consapevolezza di vivere un caso di violenza economica non venga immediatamente alla vittima. La presa di coscienza arriva dopo anni, quando ci si rende conto del vuoto che il carnefice ha creato intorno alla vittima, prima allontanandola da tutti i suoi affetti e poi dal lavoro, fino a renderla dipendente da lui in tutti i campi.
Il grave problema che insorge è che, anche quando la donna si rende conto di ciò che le sta accadendo, capisce di essere impossibilitata a reagire. Non ha i mezzi per allontanarsi dal suo aguzzino, da cui, spesso, dipendono anche dei figli.
Il rapporto Eures 2019 su “Femminicidio e violenza di genere in Italia” mette in luce i dati di quello che è un trend purtroppo in crescita: tre donne ammazzate ogni settimana per un totale di 142 femminicidi solo nel 2018.
Di tutte le donne prese in carico dai centri antiviolenza alcune hanno un proprio reddito, che è però controllato esclusivamente dal marito, ma la maggior parte dipende economicamente dal partner. Anche dopo la separazione coniugale, alcune donne che pur hanno diritto all’assegno di mantenimento, non lo ricevono, e neppure i figli a carico, che quindi emergono anch’essi come vittime della violenza economica.
La violenza economica non è palese. Logora lentamente la persona fino a renderla dipendente economicamente e, alla fine, psicologicamente, così da impedirle di reagire.
Parlare di questi temi è fondamentale, per questo ogni 25 novembre è celebrata la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, per far sì che col tempo il rispetto per le donne diventi la cultura prevalente.