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Vittorio Alfieri è uno degli autori più importanti della tradizione letteraria italiana.
Scrittore, poeta, drammaturgo e sceneggiatore teatrale, ha avuto una vita piuttosto avventurosa, segnata anche da una breve carriera militare. Cosa sappiamo della sua esistenza?
Vittorio Alfieri è nato il 16 gennaio del 1749 ad Asti dal conte di Cortemilia Antonio Amedeo Alfieri, membro della nobile famiglia omonima, e dalla savoiarda Monica Maillard de Tournon. Rimasto orfano di padre ben presto, ha vissuto fino a 9 anni nella residenza di famiglia con la sola compagnia di un precettore.
Bambino curioso, sensibile e insofferente alle regole, nel 1758 si è iscritto, per volere dello zio, alla Reale Accademia Militare di Torino. Nonostante non amasse il contesto, definito da lui stesso “luogo di vegetazione”, Vittorio ha avuto modo di studiare grammatica, retorica, legge e filosofia.
Con la morte dello zio, nel 1766, Alfieri ha lasciato l’Accademia non portando a termine gli studi e si è arruolato nell’esercito, ottenendo la nomina ad alfiere.
Ha iniziato così una lunga serie di viaggi tra Inghilterra, Francia, Prussia, Olanda e Scandinavia. Il grande cambiamento nella sua vita, quello che segna la “conversione” alla letteratura, è avvenuto nel 1775.
Nel 1775, Vittorio ha portato a termine la sua prima tragedia: Antonio e Cleopatra. Tra il 1775 e il 1782 si è dedicato a numerose altre opere, fra cui si ricordano: Filippo, Polinice, Antigone, Agamennone, Oreste, La Congiura de’ Pazzi e Maria Stuarda. Nel 1790 Alfieri ha iniziato a scrivere la sua autobiografia, intitolata Vita scritta da esso, considerata oggi un “capolavoro letterario“. Completata nel 1803, l’opera ripercorre la scoperta di sé e la nascita del suo amore per la letteratura.
Tra i suoi scritti più importanti vanno ricordati anche: Saul, che racconta lo scontro contro un dio tragico, Mirra, Bruto, l’Abele (per sua stessa invenzione definita “tramelogedia”) e i trattati Della Tirannide e Del Principe e delle Lettere. Negli ultimi anni della sua vita, invece, si è concentrato nella composizione delle Satire, di sei commedie, e della seconda parte della Vita.
L’amore è sempre stato fondamentale per Alfieri, sia per la sua vita che per la produzione letteraria. La prima donna importante della sua esistenza è stata la moglie del barone Imhof, Cristina. Lo scrittore perse la testa per lei, tanto che descrisse i sentimenti provati prima come “amorucci“. Costretto a separarsene per evirare uno scandalo, tentò il suicidio, fallito grazie all’intervento del fidato servo Francesco Elia.
Il 1771 è stata la volta di Penelope Pitt, moglie del visconte Edward Ligonier. I due si lasciarono andare ad una relazione passionale, ma quando vennero scoperti il marito sfidò il rivale a duello. Vittorio ne uscì lievemente ferito ad un braccio e capì che era il momento di abbandonare anche questo amore.
Altra donna importante della sua vita è stata la marchesa Gabriella Falletti di Villafalletto, moglie di Giovanni Antonio Turinetti marchese di Priero.
Nel 1775 decise di troncare definitivamente la relazione e per costringersi a non vedere la donna si tagliò il codino, segno di nobiltà del tempo, al fine di non uscire di casa per la vergogna.
Finalmente, nel 1777 Vittorio ha incontrato quella che lui stesso ha definito il “degno amore“, ovvero Luisa Stolberg, contessa d’Albany, moglie di Carlo Edoardo Stuard. Il loro rapporto è stato travolgente e la donna è stata al suo fianco fino alla morte.
L’otto ottobre del 1803, a soli 54 anni, Alfieri muore assistito proprio dalla Stolberg.
Alfieri non è stato solo un grandissimo autore, ma anche una personalità particolare.
Molte sono le follie che ha messo a segno nella sua vita. La prima andò in scena quando aveva soltanto 7 anni: avendo sentito parlare della cicuta e della morte di Socrate, andò in giardino mangiando quanta più erba possibile. Il tentato suicidio, se così possiamo chiamarlo, non andò a buon fine e venne curato per indigestione. In seguito, dopo una delusione d’amore, chiese ad un medico di somministrargli i salassi con sanguisughe e, una volta solo, si strappò le bende.
Fortunatamente, un amico arrivò in tempo per salvargli la vita.
Nel 1775, dopo la rappresentazione di Antonio e Cleopatra, giudicò immeritati gli applausi e architettò una specie di punizione che appare un tantino sui generis. La leggenda narra che si fece legare ad una sedia dal suo cameriere e si mise a studiare incessantemente. L’ordine era quello di non liberarlo per un determinato lasso di tempo e la frase che ripeteva continuamente era la celebre: “Volli, sempre volli, fortissimamente volli“.